Casaleggio jr. ci ha informato che tra un paio di lustri del parlamento non avremo più bisogno. Si tratterebbe di un caso di obsolescenza da innovazione tecnologica. La rete potrebbe rispondere con assai maggiore prontezza ed efficacia alla domanda di democrazia. Non è il primo, né probabilmente l’ultimo, a profetizzare il nuovo regno.
Un regno che nella rappresentazione data rende il potere condiviso da tutti con la pressione di un tasto. Perché attardarsi nelle ritualità della democrazia parlamentare rappresentativa, quando il popolo sovrano può essere chiamato a decidere su ogni questione, in ogni momento? La questione potrebbe anche essere lasciata a un dibattito salottiero, se non fosse per due profili assai rilevanti.
Il primo è che l’affermazione non viene da parte di un oratore brillante che vuole scuotere la platea sonnacchiosa, ma da un personaggio che ha peso in un soggetto politico di governo, e forse ne detiene la golden share. La prova viene dal fatto che un vicepresidente del consiglio ha sentito il bisogno di rispondere subito pubblicamente. Excusatio non petita, accusatio manifesta, direbbero gli antichi.
Il secondo è che il progetto di ridurre progressivamente il peso e il ruolo istituzionale delle assemblee rappresentative è in campo da più di venti anni, e non mostra rallentamenti. Va in tale senso, ad esempio, il mantra dell’elezione del leader con la sua maggioranza, che ha accomunato centrodestra e centrosinistra sin dal passaggio dal proporzionale al maggioritario nel 1993, e ha visto gli attacchi più duri con le leggi elettorali a premio di maggioranza.
Recano in specie il medesimo segno i tentativi di consolidare la posizione del leader con meccanismi come le liste bloccate, o le ipotesi di modifiche alle regole sul rapporto parlamento-governo. La trovata del mandato imperativo è solo l’ultima di una lunga serie. Il disegno è in campo, soprattutto perché la sinistra ha nel tempo abbandonato la propria antica cultura istituzionale, subendo sul tema una crescente egemonia della destra. Né la sinistra di oggi, che vive in una sorda competizione tra formazioni da uno virgola con altre da zero virgola, sembra in grado di invertire la tendenza.
L’uscita di Casaleggio dunque non preoccupa tanto per la possibile scomparsa dell’istituzione, ma per la concreta probabilità di veder partire un’altra stagione riformatrice – si fa per dire – volta ancora una volta a indebolire il ruolo e il peso istituzionale del parlamento.
«No one pretends that democracy is perfect or all-wise. Indeed it has been said that democracy is the worst form of Government except for all those other forms that have been tried from time to time». Lo diceva Churchill ai Commons l’11 novembre del 1947, e, su un sottofondo di disdegno aristocratico, si riferiva proprio a quello che non piace a Casaleggio: le discussioni, i contrasti, le lungaggini, le mediazioni, le complicazioni di meccanismi complessi derivanti dal votare assemblee rappresentative.
Ma proprio l’esperienza M5S ha dimostrato i limiti della rete, di cui è emersa la fragilità, la permeabilità verso influenze e controlli indebiti e occulti, la incapacità di produrre mediazioni complesse e sintesi efficaci. La democrazia istantanea del web è una fake democracy. La rete può essere utile correttivo di una politica che vive secondo i modelli antichi, ma non strumento che ad essi bene si sostituisca. Quand’anche tutto funzionasse al meglio secondo il modello Casaleggio, avremmo una quotidiana e permanente dittatura della maggioranza. Il che con la democrazia non ha proprio nulla a che fare. Quindi, noi ci batteremo perché fra un paio di lustri vi sia ancora un parlamento forte e rappresentativo, e che risulti invece provata la inutilità di Casaleggio jr.
In ogni caso, tra l’assemblea di antico regime e la democrazia istantanea forse abbiamo una terza via: il parlamento dei testimonial. Ce la mostra il deputato M5S Mura, mentre da parlamentare vuole difendere gli oceani veleggiando. Un esempio che si potrebbe applicare a una serie pressoché infinita di situazioni diverse. Mura ha fatto cose splendide con la sua barca, e ne siamo lieti per lui. Certo, se avesse amato i cavalli invece degli oceani, si sarebbe dato all’ippica.