Fu ideata da Milton Friedman nel 1956 e da allora è sempre stato un mantra delle teorie neoliberiste in campo fiscale. In Italia venne proposta, con una aliquota al 33%, da Silvio Berlusconi nel 1994 al posto di un’Irpef progressiva. Poi venne fatta propria dalla Lega di Salvini, per fortuna senza successo. Se non in modo parziale: il 1º gennaio 2004, in Italia, è entrata in vigore l’IRES (Imposta sul Reddito delle Società) al posto dell’IRPEG.
L’IRES è una flat tax: infatti è presente una sola aliquota pari al 24% (dopo la legge di stabilità 2016). Ma qualche settimana fa il Sole 24 Ore ha dato vita un dibattito sul tema partendo dalla proposta di Nicola Rossi di una flat tax sull’Irpef con aliquota al 25%. Secondo l’ex deputato Ds, ora punta di lancia dell’Istituto Bruno Leoni, il think tank del neoliberismo italiano, questa soluzione semplificherebbe il sistema fiscale italiano aumentandone la trasparenza. Contro questa proposta, in difesa dell’elementare ma fondamentale principio della progressività della imposizione fiscale, sono intervenuti diversi economisti e fiscalisti. Nel frattempo l’Istat documentava l’incremento della forbice delle diseguaglianze e l’aumento della povertà assoluta e relativa, nonché del fenomeno dei working poor, particolarmente tra gli operai a capo di famiglie monoreddito. Molti si sono soffermati sulle evidenti e numerose incongruenze economiche e sociali di un simile sistema, evitando però di toccare l’argomento principale: si tratta di una scelta incostituzionale. C’è voluto l’intervento di Enrico De Mita (fratello del più noto Ciriaco, di cui però non condivide le responsabilità) per chiarirlo con nettezza. Ma proprio questo dimostra la debolezza culturale della sinistra nel nostro paese, soprattutto quando si affrontano temi economici cruciali.
Tutto il dibattito sul quotidiano confindustriale si è fin qui svolto guardando più al profilo tecnico della materia, che non alle conseguenze sulla realtà e sul modello sociali. La crisi della politica è anche questo: riduzione a pura tecnica di gestione dell’esistente. Infatti che il sistema fiscale italiano abbisogni di una profonda riforma è certo, ma in direzione completamente opposta a quella della introduzione di una flat tax. Bisogna aumentare la progressività del nostro sistema fiscale, non appiattirla fino a farla scomparire, sostituendo ad essa il criterio della proporzionalità, che premia chi ha di più, oltre quanto già non accada in presenza di un ventaglio di aliquote troppo limitato, soprattutto in alto, dell’assenza di una tassazione patrimoniale soggettiva e di una congrua tassa di successione.
Come ci ricordava Costantino Mortati il dovere fiscale fa parte di quelli costituzionali. E infatti la nostra Costituzione, quella che abbiamo salvato con il voto del 4 dicembre, regola la materia in modo inequivocabile. Giustamente De Mita non fa solo riferimento all’articolo 53 che introduce il principio della progressività in modo esplicito al secondo comma: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Ma ci ricorda che tali criteri poggiano sull’articolo 2 che, essendo meno noto del primo e del terzo, conviene richiamare per intero: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Questi ultimi impongono di concorrere alla spesa pubblica, ma per farlo è indispensabile basarsi su un criterio di progressività, poiché tale concorso non può che essere commisurato alle capacità contributive che sono assai diversificate (e tendono a diventarlo sempre più in ragione dell’allargamento delle diseguaglianze).
L’obiettivo dei propugnatori della flat tax – quelli di un tempo, come quelli di adesso – è quindi la demolizione dello stato sociale per fare spazio alla iniziativa privata. Sarà uno dei temi dominanti della campagna elettorale prossima ventura delle destre e non solo. Chi si è battuto contro la deforma costituzionale di Renzi e della Boschi è chiamato nuovamente a difendere la Costituzione dall’attacco frontale ai principi cardine del sistema tributario e dello stato sociale in essa contenuti. Se non vogliamo che oltre a fornire di carta igienica i nostri figli quando vanno a scuola, ci troviamo costretti a portarci da casa letto e medicine se siamo ricoverati in ospedale.