Ho aspettato un
paio di giorni prima di manifestare la mia opinione perchè pensavo (e
speravo) che i discorsi relativi all'oscar per "la Grande Bellezza", al
di là della prevista e prevedibile pletora di applausi retorici, avrebbe
fatto nascere subito un interessante dibattito sul cinema italiano,
sulla sua totale disfatta, sul definitivo tramonto del nostro mercato
multimediale, coinvolgendo diversi soggetti politici, intellettuali,
produttori, autori.
E invece, è
stato steso un velo di pesante censura, regalando al popolo beone
(innocente in quanto completamente disinformato) la truffa del
cosiddetto" prodotto Italia".
Non è certo
casuale che non sia stato speso (evento, di per sè, anomalo) neppure un
rigo per sottolineare l'impegno produttivo, e che la squadra vincente
abbia provveduto a mantenere un assoluto riserbo -al limite
dell'imbarazzante ridicolo- sul management che ha orchestrato con
successo la propria vittoria, destinandolo ad un immeritato silenzio.
Basterebbe
questo piccolo, fondamentale particolare, per fornire la prova del
livello omertoso sia giornalistico che politico in voga nel nostro
paese.
Perchè questo
film non ha niente a che vedere con l'industria cinematografica e non
soltanto non produrrà alcun effetto positivo per il rilancio del nostro
cinema, anzi. Avrà (e lo sta già avendo) un effetto nefasto sia in
termini esistenziali che economici, avvilendo la creatività italiana,
umiliandola, deprimendo la qualità espressiva di autori indipendenti, e
condannandoci a un aumento del totale asservimento alla produzione di
più scarso livello del cinema statunitense.
Prepariamoci all'invasione di spazzatura hollywoodiana, roba di scarto buona per le colonie.
Quantomeno sui canali mediaset.
Questo film è il prodotto di un'operazione internazionale politica nostrana.
E come tale non rappresenta affatto il prodotto Italia.
Ben rappresenta, invece, il prodotto dell'italianità, il che, se permettete, è ben altro dire.
Per comprendere fino in fondo di che cosa si tratta, bisogna conoscere i meccanismi di questo tipo di business.
L'unica personalità politica che lo ha attaccato è stato Matteo Salvini, a nome della Lega Nord.
Tentativo
penoso, oltre che squallido. Il leader leghista ha tentato di
approfittare dell'occasione per far notare un proprio distinguo,
dimostrando soltanto l'usuale doppiogiochismo della sua posizione,
oppure (il che è molto peggio) una disinformazione totale sul prodotto.
Sei mesi prima che il film venisse distribuito, si sapeva già che avrebbe vinto, sospetto che questi fossero gli accordi.
Il film è stato prodotto da un importante rampollo della dinastia Letta, il cugino dell'ex premier.
Si chiama
Giampaolo Letta, è uno dei quattro baroni del cinema italiano (lui è il
più importante, non a caso è un altro dei nipotini) il cui compito
principale consiste nell'impedire che in Italia esista e si manifesti il
libero mercato multimediale, mantenendo un capillare controllo
partitico dittatoriale sull'industria cinematografica. E'
l'amministratore delegato della Medusa film, il cui 100% delle azioni
appartiene a Mediaset.
Il vero oscar,
quindi (in Usa conta il produttore, essendo il padre del film) lo ha
vinto Silvio Berlusconi, al quale va tutto il merito per aver condotto
in porto questo business nostrano.
Ma nessuno in Italia lo ha detto.
E' un prodotto PDL-PD-Lega Nord tutti insieme appassionatamente.
In teoria (ma
soltanto in teoria) è stato prodotto da Nicola Giuliano e Francesca Cima
(quota PD di stretta marca burocratica di scuola veltroniana) per conto
della Indigo Film, i quali -senza Berlusconi- non sarebbero stati in
grado neppure di pagarsi le spese dell'ufficio, dato che su 9 milioni di
euro di budget, il buon Berluska ne ha messi 6,5. E' stata buttata
dentro anche la Lega Nord, che ha partecipato con la Banca Popolare di
Vicenza (500 mila euro come favore amicale) e con la sponsorizzazione
del Biscottificio Verona (in tutto il film non si vede neppure una volta
qualcuno mangiare uno dei suoi biscotti) .
Grazie alla
malleverie politiche, attraverso fondazioni di partito hanno ottenuto
altri 2 milioni di euro incrociati: il PD se li è fatti dare grazie al
solerte lavoro di relazioni europee attraverso il "programma Media
Europa" (650 mila euro) mentre Renata Polverini ha partecipato alla
produzione dando 500 mila euro per conto della Presidenza Regione Lazio
attraverso il "fondo per il cinema e audiovisivi per il rilancio delle
attività cinematografiche dei giovani" (soldi che ha dato a Giampaolo
Letta, sulla carta lui sarebbe "il giovane" che andava aiutato). Nicola
Giuliano ha messo su la squadra partitica. In teoria fa il produttore,
ma fa anche il docente, il consulente.Ha la cattedra al corso di
produzione della Scuola nazionale di cinema di Roma, ma allo stesso
tempo ha anche la cattedra di docente di produzione cinematografica
presso l'Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, oltre
che docente di "low cost production" a San Antonio De los Banos
nell'isola di Cuba e consulente per la Rai. E' un funzionario tuttofare
che mette su pacchetti partitici, il che poco ha a che fare con il
cinema, ma molto ha a che vedere con l'idea italiana di come si fa il
cinema.
O meglio: molto ha a che fare con l'idea di come si uccide e si annienta una cinematografia, secondo me.
Secondo gli
esaltatori di questo "prodotto Italia", il film vincente aprirebbe la
strada a investimenti, stimolando i giovani autori e lanciando il nuovo
cinema italiano; mentre, invece, l'unico risultato che otterrà sarà
quello di far capire a tutti, come severo ammonimento, che "o prendete
la tessera di Forza Italia/PD oppure non lavorate" chiarendo a chiunque
intenda investire anche 1 euro nel cinema che bisogna però passare
attraverso la griglia dell'italianità partitica, il che metterà in fuga
chi di cinema si occupa e attirerà invece squali di diversa natura il
cui unico obiettivo consiste nel fare affari lucrosi in Italia con
Berlusconi e il PD, in tutt'altri lidi.
I giovani
autori, i cineasti italiani in erba, le giovani produzioni speranzose,
il cinema indipendente, ricevono da questo premio un danno colossale
perchè il segnale che viene dato loro è quella della contundente
italianità, quella della Grande Ipocrisia, la vera cifra di questo paese che si rifiuta di aprire il mercato ai meritevoli, ai competenti, a quelli senza tessera.
Il film ha vinto esattamente nello stesso modo in cui aveva vinto "Nuovo cinema Paradiso" nel 1990.
Due parole tecniche per spiegarvi come funziona il meccanismo di votazione dell'oscar.
Per votare
bisogna essere iscritti al MPAA (Motion Pictures Academy of Art) e
bisogna essere sindacalizzati; dal 1960 vale anche il principio per cui
chi è disoccupato non vota, nel senso che bisogna dimostrare con
documenti alla mano che "si sta lavorando" da almeno gli ultimi 24 mesi
ininterrottamente, garantendosi in tal modo il voto di chi sta veramente
dentro al mercato. Perchè per gli americani l'unica cosa che conta per
davvero è il mercato, per questo Woody Allen (autore indipendente)
detesta Hollywood e non ci va mai, la considera una truffa. I votanti
sono all'incirca 6.000 e sono presenti tutte le categorie dei lavoratori
(si chiamano industry workers): produttori, registi,
sceneggiatori, direttori di fotografia, macchinisti, tecnici del suono,
delle luci, scenografi, sarti, guardarobiere, guardie di sicurezza,
perfino i gestori degli appalti per gestire i catering sul set, ecc.
Ogni voto vale uno, il che vuol dire che il voto di Steven Spielberg
vale quanto quello di un ragazzino il cui lavoro consiste nel tenere
l'asta del microfono in direzione della bocca del divo di turno nel
corso delle riprese, purchè lo faccia da almeno due anni e paghi i
contributi. Quando si avvicina il giorno della votazione scattano i
cosiddetti "pacchetti" e a Los Angeles la lotta è furibonda e comincia
la caccia già verso i primi di novembre, con i responsabili marketing
degli "studios" (sarebbero le grandi majors) che minacciano,
ricattano, assumono, licenziano, per convincere chi ha bisogno di
lavorare a votare per chi dicono loro, è inevitabile pensarlo. Per ciò
che riguarda i film stranieri la procedura è la stessa ma su un altro
binario: vale il cosiddetto "principio Hoover" lanciato dal capo del FBI
alla fine degli anni'50: vince la nazione che più di ogni altra in
assoluto farà fare affari alle sei grosse produzioni che contano,
acquistando i suoi prodotti. E' il motivo per cui l'Italia è la nazione
al mondo che ha collezionato più oscar di tutti (la più serva e
deferente) e la Russia e il Giappone quelle che ne hanno presi di meno.
Quando l'Italia, per motivi politici (o di affari) ha bisogno
dell'oscar, allora costruisce un poderoso business (per la serie: vi
compro questi quattro telefilm che nessuno al mondo vuole e ve li pago
tre volte il suo valore) e lo va a proporre a società di intermediazione
di Los Angeles collegate ai due sindacati più potenti californiani, da
40 anni gestiti da famiglie calabresi e siciliane, quelli che danno
lavoro alla manovalanza tecnica e gestiscono i pacchetti, dato che
controllano il 65% dei voti complessivi. Per i film stranieri bisogna
avere un forte "endorsement", ovvero un sostegno di persona nota
nell'industria che garantisce a nome dei sindacati, come è avvenuto
quest'anno con Martin Scorsese.
Nel 1989
accadde la stessa cosa: Berlusconi doveva entrare nel mercato americano
per mettere su un gigantesco business (quello per il quale è stato
definitivamente condannato dalla Cassazione, il cosiddetto "processo
media-trade"); doveva entrare a Hollywood dalla porta principale con la
Pentafilm. Ma non c'erano film italiani che valessero, era già piombata
la mannaia dei partiti, tanto è vero che perfino il compianto Fellini
girava a vuoto da un produttore all'altro ed era disoccupato, motivo per
cui finì per ammalarsi. Alla fine, l'abile Berlusconi riuscì a
convincere il più intelligente e bravo produttore di quei tempi (che se
la passava maluccio) Franco Cristaldi, a dargli un prodotto perchè lui
doveva vincere comunque. Cristaldi era disperato e non sapeva che cosa
fare perchè non poteva fare delle figuracce con gli americani che
conoscono il buon cinema e non è facile ingannarli, ma si fece venire in
mente un'idea geniale. Aveva fatto una marchetta con Raitre e aveva
prodotto un film "Nuovo Cinema Paradiso" che era stato un flop
clamoroso, sia alla tivvù, con indici di ascolto minimi, che al cinema,
dove era uscito e dopo dieci giorni era stato ritirato per mancanza di
pubblico. Il film durava 155 minuti ed era, francamente inguardabile, di
una noia mortale. Senza dire nulla al regista, Cristaldi ci lavorò da
solo -letteralmente- per tre mesi. Rimontò totalmente il film, tagliò e
buttò via 72 minuti e usando dei filtri cambiò anche le luci, riuscendo
anche a modificare dei dialoghi. Lo fece uscire in Usa dove ottenne un
buon successo di critica, sufficiente per passare. Berlusconi fu
contento ma non gli diede ciò che era stato pattuito. Il giorno in cui
Tornatore prese l'oscar, nel 1990, accadde un fatto inaudito per la
comunità hollywoodiana. La statuetta venne data al regista e
all'improvviso Franco Cristaldi fece un salto sul palco, si avvicinò,
strappò di mano la statuetta a Tornatore, prese il microfono in mano e
disse "questo oscar è mio, questo premio l'ho vinto io, questo è il mio
film, questo è un film del produttore". Fu l'inizio della fine della sua
carriera in Italia, perchè il giorno dopo l'intera critica statunitense
(in Italia non venne mai fatta neppure menzione degli eventi) lo volle
intervistare e lui raccontò come i partiti stessero distruggendo quella
che un tempo era stata una delle più importanti industrie
cinematografiche del mondo. Lo scaricarono tutti in Italia e finì per
lavorare all'estero. Di lì a qualche anno morì. Fu in quell'occasione
che Tornatore, in una intervista, spiegò come si faceva il regista in
Italia: "Bisogna occuparsi di politica, quella è la strada. Io mi sono
iscritto al PCI e poi sono riuscito a farmi eleggere alle elezioni
comunali in un piccolo paesino della Calabria dove sono diventato
assessore. Mi davano da firmare delle carte e io firmavo senza neppure
leggerle, dovevo fare soltanto quello. Dopo un po' di tempo mi hanno
detto che potevo anche dimettermi e andare a Roma a fare i film". Aveva
ragione lui: in Italia funziona così.
24 anni dopo è la stessa cosa, con l'aggravante del tempo trascorso.
"La Grande
Bellezza" appartiene a questo filone dell'italianità e il solo fatto di
accostarlo a Fellini o a De Sica è un insulto all'intelligenza
collettiva della nazione: è una marchetta politica.
E si vede, si
sente, lo si capisce; nell'arte non si riesce a mentire perchè l'arte è
basata su uno squisito paradosso: poichè è finzione totale -e quindi
menzogna pura- chi la produce non può darla ad intendere perchè la
verità sottostante salta sempre fuori.
E' la cartolina
di un piccolo-borghese costruita (a tavolino) per venire incontro agli
stereotipi degli americani votanti, attraverso un'operazione
intellettualistica che non regala emozioni, ma soltanto suggestioni di
provenienza pubblicitaria marketing negativa. In maniera ingegnosa e
diabolicamente perversa propone delle maschere in un paese dove la
verità artistica deve passare, secondo me, nella necessità dello
smascheramento. Questo è quello che penso da tempo.
E' la
quintessenza del paradosso italiano trasformato nel consueto ossimoro:
un brutto film che si pone e si qualifica come la Grande Bellezza;
proprio come Mario Monti che lanciò il decreto "salva Italia" che ha
affondato il paese e Letta (Enrico) che lanciò il "governo del fare"
licenziato dopo pochi mesi perchè non è riuscito a fare nulla.
Il film, che ho
trovato noioso e privo di spessore, è un prodotto subliminare, promosso
dai partiti politici italiani al governo solo e soltanto dopo che i due
protagonisti, Toni Servillo e Paolo Sorrentino, si sono messi
pubblicamente a disposizione della famiglia Letta. Il film doveva uscire
a settembre del 2013, ma hanno anticipato l'uscita a giugno perchè,
secondo me, era il momento in cui era assolutamente necessario usare
ogni mezzo per poter azzannare l'opposizione. Il 7 giugno del 2013,
Servillo e Sorrentino, vengono invitati da Lilly Gruber nella sua
trasmissione "8 e 1/2" per l'emittente La7. L'intervista dura 32 minuti.
I primi 20 minuti sono noiosi e si parla del film che, si capisce da
come andava l'intervista, nessuno avrebbe mai visto. Dal 21esimo minuto
in poi, avviene la svolta, fino alla fine. L'attore e il regista, ben
imboccati dalla Gruber, si lanciano in un attacco politico personale
contro Beppe Grillo e il M5s. Un fatto che non aveva alcun senso, dato
che si trattava di un film che nulla -per nessun motivo- aveva a che
fare con la vita politica italiana e con il dibattito in corso. Servillo
fu durissimo nel sostenere a un certo punto che "mi faccio dei nemici
ma me li faccio volentieri" spiegando ai telespettatori (che pensavano
di ascoltare un attore che parlava di cinema) come "Grillo ripropone
un'immagine di leader vecchio che passa da Masaniello a Berlusconi"
-cioè il suo produttore- "e usa un linguaggio violento....". Sorrentino
gli andò dietro e insieme, per dei motivi incomprensibili a chiunque si
occupi di cinema in qualunque parte del mondo (tranne che in Italia)
spiegavano che il M5s "è un movimento che vuole togliere la sovranità al
parlamento". http://www.youtube.com/watch?v=D2LfyVks6F4
Riguardando quell'intervista, ho scoperto, pertanto, che Toni Servillo ha stabilito che io sono un suo nemico.
Non lo sapevo.
Ieri sera, la
Gruber, sempre attenta nel rispettare i codici della rappresentanza che
conta, ha dedicato un'altra intervista al film, ma in questo caso ha
invitato Walter Veltroni.
Forse c'è stato qualche telespettatore che si sarà chiesto "ma che cosa c'entra con questo film?".
Appunto.
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