L’incontro di Berlusconi con Napolitano per “rassicurarlo” sulla tenuta del governo preludeva a quello che non era difficile prevedere: nelle riforme costituzionali deve rientrare la giustizia tanto più dopo la sentenza Ruby ed in piena continuità con il percorso sciagurato già tracciato dalla Bicamerale di D’Alema con le insuperate bozze Boato.
Tutto quello a cui abbiamo assistito nei giorni che precedevano la sentenza, come nelle ore in cui i giudici costituzionali erano in camera di Consiglio per decidere sul legittimo impedimento pretestuoso nel processi Mediaset sta avendo il suo logico ed annunciato sviluppo.
Berlusconi ha tenuto tra virgolette un basso profilo dinanzi ai due stop consecutivi alla pretesa di avere una impunità personale perpetua e garantita perché sul fronte della propaganda hanno operato i suoi scudi-umani e le sue amazzoni più o meno stagionate con le passerelle tragicomiche a piazza Farnese e i baci di scherno ad Ilda Boccassini.
Ma soprattutto “i miti consigli” sono stati motivati dalla consapevolezza di avere sempre e comunque una sponda al Quirinale, benché Napolitano sia stato incredibilmente “accusato” di non essersi speso abbastanza con la Corte Costituzionale per far accogliere il legittimo impedimento farlocco e dilatorio che avrebbe consentito di far prescrivere anche la sentenza di condanna a 4 anni e alla interdizione dai pubblici uffici della sentenza per i diritti Mediaset.
Purtroppo, ancora una volta, Giorgio Napolitano ha ricevuto al Quirinale un senatore della Repubblica, di cui peraltro verrà discussa l’ineleggibilità tra pochi giorni, condannato rispettivamente a 4 anni in appello, a 7 in primo grado, e dichiarato interdetto dai pubblici uffici per 5 anni in secondo grado, ed in perpetuo sempre nel processo Ruby. Nel comunicato ufficiale il Colle ha dichiarato che si è parlato di massimi sistemi e che lo sguardo è andato ben oltre le batoste giudiziarie in cui è rimasto “impigliato” il cavaliere, come ebbe a dire Giorgio Napolitano qualche tempo fa all’esordio delle larghe intese con espressione non propriamente consona al lessico del garante della Costituzione.
Da oggi sappiamo per certo che mentre la riforma del porcellum è lettera morta, perché è con questa legge che Berlusconi o chi per lui vuole andare al voto, con un ddl a firma Donato Bruno più una serie di legulei berlusconiani tra cui non poteva mancare qualche inquisito, è stato depositato un emendamento per modificare il TITOLO IV della Costituzione dedicato alla MAGISTRATURA.
Tanto per capirsi è il titolo che alla prima sezione quella sull’ordinamento giurisdizionale si apre con l’art. 101 che recita “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. E poi all’art. 104, quello che disciplina il CSM precisa. “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.
Naturalmente gli autori dell’emendamento hanno recisamente smentito qualsiasi intendimento punitivo nei confronti dei magistrati e hanno dichiarato che l’intervento sul titolo IV è richiesto dalla riforma in senso presidenziale che comporta inevitabili ricadute sulla composizione del CSM e della Corte Costituzionale, ridefinendo in senso estensivo i poteri del Capo dello Stato. Allora avrebbero potuto fin dall’inizio in modo trasparente, al di là del’opportunità di riformare la Costituzione con un governo del genere, includere la giustizia e la magistratura nel progetto di riforma.
In qualità di garante della Costituzione e di presidente del CSM, oltre che di primo sponsor di questo esecutivo, dovrebbe dire alcune parole chiare e rassicuranti in proposito il Capo dello Stato che al contrario, anche di recente mentre gli attacchi ai “magistrati comunisti di Milano” toccavano nuovi apici, non ha trovato niente di meglio da sottolineare che “il CSM deve essere organo di autogoverno piuttosto che di autodifesa”. Niente di più opportuno!
Questa volta è difficile dire che Grillo ha esagerato quando ha osservato obiettivamente che Al Capone non veniva ricevuto alla Casa Bianca.