Sembra che il lungo ed estenuante confronto fra la Grecia e la Ue sia giunto al rush finale che permetterebbe quanto meno di evitare la temuta Grexit. Forse non sarà neppure necessaria la riunione dei leader europei prevista per domenica prossima. La morta gora è stata evitata, oltre che dallo straordinario esito del Referendum di domenica scorsa, dalla nuova lettera di intenti inviata dal governo greco al Presidente dell’Eurogruppo e firmata dal nuovo ministro delle finanze Euclid Tsakalotos. Che non bastasse l’esito pur inequivocabile del referendum greco a piegare l’ostinata resistenza dei creditori era già apparso chiaro dalle terribili parole pronunciate da popolari e socialisti nel dibattito del Parlamento europeo cui era stato invitato Tsipras.
Quella dimostrazione di democrazia diretta e di precisa volontà popolare non li aveva commossi. Eppure questa aveva fatto breccia persino nel mondo degli economisti mainstream. Uno dei più noti, Luigi Zingales, un italiano che insegna negli States, aveva scritto sul Sole24Ore parole di grande rispetto: “La Grecia, però ha sorpreso il mondo. Io non mi sarei mai aspettato che questo referendum potesse avere luogo nella più assoluta normalità nonostante le banche chiuse, tanto meno che il governo Tsipras fosse in grado di vincerlo”. Ma tutto ciò non ha scosso né turbato gli animi e le convinzioni di una Merkel, di un Gabriel, di uno Schulz, di un Draghi, di un Djisselbloem. Chi tiene i cordoni della borsa sa reprimere sentimenti e commozioni, sempre che ne abbia.
Non restava altra mossa a Tsipras che quella di riformulare una proposta, sapendo che questa volta la data del 12 luglio era davvero una dead-line. Lo ha fatto, rischiando molto, soprattutto al proprio interno, ispirandosi ad un antico principio tattico: fare un passo indietro oggi per farne due in avanti domani. E’ una scommessa. Nessuno può sapere se vincente o meno. Non sappiamo al momento la risposta dei creditori, ma è improbabile che prendano a scatola chiusa. I mercati finanziari sembrano tirare un respiro di sollievo, tuttavia è imprudente giudicare sull’onda degli umori volatili di questi ultimi.
"Non ho il mandato del popolo per portare la Grecia fuori dall'euro, ma per trovare un accordo migliore" Con queste parole Tsipras si è rivolto ai deputati nella riunione del Parlamento greco.
La domanda che tutti si pongono è allora questa: l’accordo sarà migliore? Tutti sappiamo bene che un accordo va valutato per il testo e per il contesto, che si tratti di un accordo sindacale o politico. A maggiore ragione in questo caso, ove il contesto è internazionale, addirittura mondiale per i molteplici interessi in gioco.
E questo contesto è tra i più negativi. Almeno per quanto riguarda l’Europa: la Grecia ha dovuto battagliare contro 18 avversari chi più chi meno motivati a stare dall’altra parte. La desiderata alleanza con i paesi più in difficoltà non si è mai verificata. Anzi è avvenuto il contrario: nessuno di quelli che avevano passato le forche caudine dell’austerità era disponibile a fare sconti ai greci. E su questo ci sarà da riflettere a fondo per evitare facili entusiasmi sulla solidarietà tra i popoli. Se un aiuto è giunto è arrivato da oltreoceano. L’amministrazione americana si è spesa esplicitamente perché la Ue trovasse una intesa per evidente ragioni geopolitiche che non permettevano di considerare la Grexit indolore per la strategia americana, in quella zona del mondo così delicata. Anche la Cina, scossa da una crisi da bolla finanziaria che ha altre e proprie ragioni, ha tutto l’interesse, e lo ho fatto sapere, che la Ue si mantenga unita e che non ci siano contraccolpi speculativi nel vecchio continente.
Se ci potessimo basare solo sul nuovo testo inviato da Tsipras e se la trattativa si concludesse senza sostanziali modifiche al medesimo, è indubbio che ci troveremmo di fronte ad un accordo migliore rispetto a quello prospettato dalla controparte e rifiutato dal no referendario e tale da aprire nuove prospettive che fino a qui sembravano precluse.
Ma è altrettanto chiaro che siamo di fronte a un compromesso che arretra in modo sensibile le linee di difesa iniziali del governo ellenico. In particolare su due punti non certo secondari: la questione delle pensioni e quella del mercato del lavoro. Nel primo caso vi è un’ accelerazione nella revisione dei prepensionamenti, nell’aumento dell’età effettiva del pensionamento e nella disponibilità ad assumere altre misure per la “sostenibilità” del sistema pensionistico. Nel secondo caso vi è l’intento a discutere con le istituzioni europee le modifiche da apportare al mercato del lavoro e alla contrattazione collettiva nazionale.
Naturalmente non c’è nulla di ciò che veniva chiesto con forza dalle istituzioni e dai creditori all’inizio di questa lunga partita, come tagli orizzontali e indiscriminati a salari e pensioni, facilità di licenziamenti di massa, nonché elevamento generale delle tassazioni e dell’Iva in particolare.
Non solo, ma la nuova proposta tende a spostare l’asse sui temi più strutturali, una volta affrontata l’emergenza. Capaci di rilanciare su nuove basi l’economia greca, quali un terzo piano di aiuti triennali per circa 53 miliardi e soprattutto la disponibilità da parte della Ue a prendere in considerazione la questione complessiva del debito. La questione della sua sostenibilità sarà definitivamente sul tavolo dell’Eurogruppo, anche su probabilmente non nella forma di un haircut ma di una ristrutturazione del medesimo.
Il piano greco punta quindi a quello che fin dall’inizio era il suo obiettivo vero: guadagnare tempo senza andare a sbattere contro un popolo in acuta sofferenza, per rimettere in piedi l’economia su nuove basi e ammodernare democratizzandola l’inefficiente macchina statale.
E’ tanto, è poco? Aspettiamo qualche ora per un responso più sicuro. C’è però un punto di fondo che non deve sfuggire alla nostra riflessione. Quali sono i margini effettivi per una politica di sinistra, seppure entro i confini di un keynesismo sociale, in questa Europa inchiavardata nelle politiche di austerity? La risposta ora si sposta in Spagna, dove si voterà a novembre, come ha detto Pablo Iglesias di Podemos intervenendo nel Parlamento europeo.