Sono troppi anni che in Italia è stata imposta nel dibattito pubblico un’accesa discussione sull’esigenza di profonde riforme costituzionali ed istituzionali, al punto che ormai è penetrato nel senso comune lo stereotipo che la Costituzione del 1948 sarebbe un ferrovecchio di cui bisogna sbarazzarsi in nome della democrazia per far “crescere” il nostro paese. Pochi ricordano che questa discussione è partita dal vertice del potere politico, ha una ben precisa data di inizio ed un suo profeta: Francesco Cossiga.
Fu il Presidente della Repubblica dell'epoca che, il 26 giugno del 1991, mandò un formale messaggio alle Camere istigando il Parlamento ad attuare una profonda riforma della Costituzione, che avrebbe dovuto portare ad una modificazione della forma di Governo, della forma di Stato, del sistema dell’indipendenza della magistratura e ad abbandonare il sistema elettorale proporzionale a favore di un sistema maggioritario. Con questo messaggio Cossiga dichiarava obsoleto il modello di democrazia costituzionale prefigurato dai Costituenti, in quanto frutto della guerra fredda che avrebbe indotto i Costituenti stessi ad organizzare un potere “debole” custodito da garanzie “forti”, anziché un potere forte e stabile, svincolato da garanzie forti.
Quella che contestava Cossiga, in realtà, era l'impostazione antitotalitaria che aveva guidato le scelte dei Costituenti, determinati ad evitare che in Italia si potesse verificare un'eccessiva concentrazione di potere nelle mani dei capi politici, a scapito dello Stato di diritto e dei diritti dei cittadini, come era avvenuto con l'esperienza del fascismo.
L’esigenza delineata da Cossiga nel suo “profetico” messaggio alle Camere è quella di dare più potere al potere, di ridimensionare il sistema di pesi e contrappesi che fa sì che il potere di ogni organo trovi un limite nel potere di altri organi e che l’esercizio di ogni funzione di governo sia vigilata da robuste istituzioni di garanzia, capaci di assicurarne la conformità al diritto e di tutelare i diritti inviolabili dei cittadini. L’aspirazione è sempre stata quella di ricreare nuovamente un governo forte, se non addirittura un uomo forte, capace di realizzare la sua missione di governo, senza essere ostacolato dalle istituzioni rappresentative e da quelle di garanzia.
Dare più potere al potere è stato il leitmotiv che ha guidato il ventennio appena trascorso e le riforme che sono state praticate sia in tema di leggi elettorali che di modifiche formali alla Costituzione. Lungo i binari posti da Cossiga hanno viaggiato tutti i tentativi di riforma della democrazia costituzionale italiana, praticati nel tempo, con esiti vari, sia attraverso le riforme elettorali, sia attraverso le riforme della Costituzione del 48.
Il problema è che adesso questo lungo viaggio sta per terminare. Quando andranno a regime la riforma elettorale (italicum), la riforma del Senato, la riforma della pubblica amministrazione (che demolisce il principio costituzionale dell'imparzialità e del buon andamento), la riforma della scuola (che assoggetta l'istruzione pubblica ad una logica aziendale), le varie riforme del mercato del lavoro (che riconducono il lavoro a merce), allora si sarà completato un processo di vera e propria sostituzione del modello di democrazia, del modello di Stato e del modello economico sociale delineati nella Costituzione della Repubblica italiana.
Tutte queste riforme sono convergenti verso la creazione di un nuovo quadro istituzionale che si realizza con la figura dell’uomo solo al comando e con la sterilizzazione, se non l’abiura dei principi e dei valori che la Costituzione a posto a base della vita della Repubblica.
In questo contesto bisogna valutare l'ultima battaglia che si sta combattendo in questi giorni al Senato, intorno alla riforma/cancellazione del Senato ed al ridimensionamento dei poteri della Camera dei Deputati. In questo contesto risalta l'assurdità del compromesso sulla semi-elezione popolare dei senatori che ha fatto alzare bandiera bianca alla minoranza PD. Si tratta di compromesso che non restituisce ai cittadini il potere di elezione diretta dei senatori e lascia irrisolti tutti gli altri nodi.
In particolare: la sottrazione alle Regioni di ogni possibilità di governo del territorio; la sostanziale attribuzione al Governo del controllo dell’agenda dei lavori della Camera dei Deputati, già mortificata e sottoposta alla supremazia dell’esecutivo in virtù della legge elettorale voluta dal governo Renzi che garantisce al partito vincitore un premio di maggioranza sproporzionato come e peggio che nel "porcellum", l’eliminazione della garanzia della doppia lettura per le leggi che riguardano i diritti fondamentali dei cittadini; la sproporzione numerica fra senatori (100) ed i Deputati (630) che rende irrilevante il ruolo del Senato nell’elezione del Presidente della Repubblica.
La riforma costituzionale è un po' la linea del Piave sulla quale si può arrestare la controrivoluzione in atto. Riusciremo ad impedire che si realizzi la profezia nera di Cossiga?