La risposta all’asse Salvini-Orbán non è lo status quo

di Lorenzo Marsili - Il Fatto Quotidiano - 05/09/2018

La narrazione oggi più in voga vede un grande scontro all’orizzonte fra europeisti e nazionalisti. Teatro: le prossime elezioni europee. Ma si tratta di una narrazione sorpassata dai fatti. Perché oggi il nazionalismo europeo che si salda con l’asse fra Orbán e Salvini non si pone più l’obiettivo grossolano di distruggere l’Unione. Ha l’ambizione di trasformarla dall’interno.

Si è pensato che dietro la strana “internazionale nazionalista” esistesse una incompatibilità di fondo. Perché non regge un’alleanza in cui la destra italiana vorrebbe i migranti in Austria, la destra austriaca li vorrebbe in Germania, la destra tedesca in Italia. Ma il gioco dei veti incrociati scompare nel momento in cui l’obiettivo diventa la chiusura delle frontiere non nazionali ma europee. La costruzione di una Fortezza Europa, unita nel pattugliamento dei confini e nell’indifferenza verso la morte.

Si aggiunga un comune interesse nello svuotare ogni ruolo di controllo economico, sociale o ambientale da parte dell’Unione. Mantenendo, però, il mercato unico e la capacità di farne leva nei rapporti commerciali con il resto del mondo. Si finisca relativizzando lo Stato di diritto, la divisione dei poteri, i diritti civili. L’Europa nazionalista è servita. È su queste basi che si sta saldando l’alleanza fra popolari ed estrema destra. Il modello è quello austriaco, dove la democrazia cristiana di Sebastian Kurz governa, in alleanza con i post-fascisti di Gerhard Hofer, con politiche di neoliberismo xenofobo. È questo il gioco delle parti fra Orbán e Salvini. Il primo lavora ai fianchi del Partito popolare europeo. Il secondo salda l’asse dei duri. L’obiettivo: una nuova grande coalizione, tutta spostata a destra.

La strategia è fare leva sull’interesse economico che il centrodestra di establishment ha sempre difeso. Perché il nazionalismo è la strada migliore per direzionare la rabbia lontano dal sistema economico e verso lo straniero: più Diciotti e meno Autostrade. Ma soprattutto perché il neoliberismo oggi si salva precisamente attraverso il nazionalismo. Basti pensare alla competizione fra Stati per attrarre i capitali, che porta i Paesi a promettere sgravi fiscali alle multinazionali e flat tax per i più ricchi. È un sistema che fa perno sulla mancanza di un coordinamento transnazionale: se ci fosse una vera democrazia europea i paradisi fiscali si chiuderebbero domani e il dumping sociale verrebbe fermato da un salario minimo continentale.

È proprio da qui che si deve partire. Non da un europeismo di facciata che offre status quo. Non dalla confusione europea che rende il M5S succube del protagonismo della Lega. Non dalla malinconia di una sinistra che si straccia le vesti sull’impossibilità di cambiare l’Europa. Ma da una visione chiara di Europa politica e democratica capace di ribaltare un sistema ingiusto e in bancarotta morale e finanziaria.

Le idee ci sono: chiusura immediata dei paradisi fiscali; un piano di investimenti in riconversione ecologica e industriale per rimettere al lavoro un continente e competere con la leadership cinese nell’intelligenza artificiale; una politica migratoria comune, come già definita dal Parlamento europeo; un piano anti-povertà pagato con i proventi della Bce e una profonda democratizzazione dell’Unione.

Utopico? Le prossime elezioni europee chiameranno al voto 400 milioni di cittadini. Tiriamo fuori il coraggio, le idee e l’ambizione per farne un appuntamento che possa cambiare la vita di ciascuno. Non possiamo permettere che sia solo l’estrema destra a credere nella forza della politica di trasformare il nostro continente.

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