Proprio nella serata in cui Rai 1 dedica una fiction al Maestro Manzi, uno dei precursori della scuola dell’inclusione e dell’uso democratico dei media, Renzi ha dato un chiaro saggio della propria distanza siderale da quei princìpi; e di come – oggi – possa esistere uno iato tra parole e fatti: “mettere al centro il valore della scuola” è stato uno dei leit motiv dell’intervento al Senato, replicato la sera dopo, più o meno con piglio simile ed analoghi contenuti, alla Camera. Non una parola (ma sarebbe stato ingenuo pretenderlo) sul fatto che proprio la scuola è stata la merce di scambio politico che l’enfant prodige della politica italiana ha messo sul tavolo per tener buono il centro-destra.
La parola “scuola” ricorre ben 9 volte nel discorso in Senato; e 5 volte “insegnanti”. Stesse percentuali nell’altra ala del Parlamento. Ma proprio mentre lui si affrettava a rassicurare sulla necessità di “coinvolgere dal basso in ogni processo di riforma gli operatori della scuola” (uno dei cavalli di battaglia della sua “campagna elettorale”), il neo ministro Giannini esprimeva tutte le proprie perplessità in merito alla Costituente annunciata dal ministro Carrozza.
Il sindaco d’Italia non ha rinunciato alla demagogia di facile effetto: “Mercoledì mattina, come faccio tutte le settimane, mi recherò in una scuola (la prima sarà un istituto di Treviso, perché ho scelto di partire dal Nord-Est, mentre la settimana prossima andrò in una scuola del Sud), e lo farò perché penso che sia fondamentale che il Governo non stia soltanto a Roma, e quindi mi recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un segnale simbolico, se volete persino banale, per dimostrare che da lì riparte un Paese”. Come se davvero si potesse vincolare la presa in carico concreto di un problema complesso, che coinvolge 7 milioni di studenti con le loro famiglie, quasi 1 milione tra docenti e personale Ata, solo per ciò che riguarda il personale di ruolo, facendo una comparsa in scuole, mercati, ospedali, stringendo mani e assegnando pacche sulle spalle.
Ma Renzi si sente tranquillo e forte sul tema scuola. Lo dimostra la domanda provocatoriamente rivolta ai senatori: “Ci avete mai parlato con gli insegnanti e ascoltato quello che dicono oggi?”. Impertinenze dell’età, evidentemente; lui che non sa tenere lingua ed entusiasmo a posto, che non rinuncia all’iconografia del giovane toscano un po’ guascone, scanzonato e informale.
Il punto è: nel tempo Matteo Renzi, che ha “annusato” la necessità di portare la scuola a sé, considerando il bacino di voti che essa rappresenta, ha tentato di modificare la sua posizione in un trasformismo funambolico, a seconda degli interlocutori, dimostrando però sempre e comunque una visione confusa e inequivocabilmente neoliberista, nonostante aggiustamenti ed ammiccamenti di comodo. In buona sostanza: Renzi ha compreso che scuola significa elettorato potenziale. Il tema è ora un suo rovello compulsivo, che inserisce ovunque, shakerando formule più o meno facili, che uniscono nidi e merito, valorizzazione e valutazione, diritti e scuole paritarie, ascolto e consueto interventismo.
Ma l’atto più significativo – che fa coerentemente seguito alla sostanza espressa dal suo programma scuola e ribadita in una recente intervista dal responsabile scuola del PD, Faraone –, quello che dimostra in maniera inequivocabile, al di là dei proclami demagogici, le reali convinzioni di Renzi, fugando ambiguità e tentazione di dargli credito, è la nomina a ministro di Stefania Giannini, Scelta Civica. Ricordate Monti da Fazio e le sue esternazioni sui docenti corporativi? Ricordate le 24 ore proposte da Profumo? Nulla al confronto. Il neo ministro, evitando qualsiasi forma di cautela, ha logorroicamente rilasciato una serie di interviste che consentono di affermare – con ragionevole certezza – che, al di là di qualsiasi altrettanto ragionevole pre-giudizio, avere a che fare con Giannini non sarà una passeggiata.
Sull’estenuante questione degli scatti il neo ministro ha le idee già molto chiare: “Il modello scatti d’anzianità va rivisitato con coraggio. Gli automatismi di stipendio sono il frutto di un mancato coraggio politico del passato”; e ha proposto “premi a chi si impegna, chi si aggiorna, chi studia”. E poi “valutazione e autonomia delle scuole, sul serio. Le scuole devono diventare università: gestire, scegliere”. La riforma dei cicli, a sentire la Giannini, si farà certamente, con l’accorciamento di un anno di scuola superiore. Ce lo chiede l’Europa, naturalmente: “è un modello internazionale”. “I test Invalsi andranno perfezionati ma non rifiutati”, questa la dichiarazione rilasciata alla “Nazione”. Sulla chiamata diretta degli insegnanti da parte delle singole istituzioni scolastiche, il ministro spiega al “Corriere”, che vorrebbe che le scuole assumessero liberamente i docenti: “chi credono”, ma dovranno rendere conto dell’operato, attraverso una valutazione. “Dobbiamo trovare gli strumenti giusti per attuarlo”. Ci rassicura poi dai microfoni di Radio 1: “I soldi sono necessari per la scuola pubblica e quella paritetica (sic!) che non lascerò indietro”. Non avevamo dubbi…
All’“Avvenire”, infine, a proposito del ventilato taglio della Filosofia dai programmi scolastici: “Più che l’idea di tagliare una materia di qua o di là, vorrei si ragionasse di più su un approccio interdisciplinare delle materie, che mi sembra la vera questione da approfondire”. Una certezza per ogni nodo complesso e dibattuto; per tutti i grandi problemi che hanno agitato scuola e coscienze negli ultimi lustri; su tutte le tematiche sulle quali – noi ingenui – ci siamo mobilitati per anni. Arriva la professoressa Giannini, docente di Glottologia, rettore dell’università per stranieri di Perugia e senatore di Scelta Civica e in una tempesta di dichiarazioni, spazza via ragioni e ragionamenti, studi e proteste, riflessioni, dimostrazioni, passione, militanza, esperienza: c’è da tremare…
Niente male, per una manciata di ore da ministro. Chi avesse voglia di comparare queste incaute esternazioni, rilasciate come diktat – ma è coerente con lo stile comunicativo del giovane “capo” – con il programma/i programmi sulla scuola di Matteo Renzi, ne ricaverebbe un’idea di perfetta coerenza, un commuovente idem sentire. I due condividono infatti temi, modalità, strategie attraverso i quali intendono mettere la scuola al centro dell’agenda politica.
Suona oltremodo beffardo – dopo queste dichiarazioni perentorie da veni, vidi, vici; dopo questa formale dimostrazione muscolare della “politica del fare”, che non prevede dinamica democratica, né studio delle problematiche (il ministro Giannini, come da routine, è un accademico che della scuola non conosce nulla) – la chiamata alle armi da parte di Davide Faraone (responsabile scuola del PD), che convoca la scuola il 10 marzo a Roma per la “Giornata di ascolto del mondo della scuola”. Leggo il comunicato, caratterizzato dal consueto stile mediatico, provocatorio, informale e dissacratore: “Vogliamo partire dall’ascolto delle voci della scuola e dal lavoro svolto in questi anni dal PD, ma non vogliamo fermarci alle proteste, c’è una pars destruens che sappiamo a memoria [scusaci, Faraone, se ti abbiamo annoiato, ndr]. È ora della pars costruens. È ora di dire cosa vogliamo fare e soprattutto è ora di farlo”.
A quanto pare il nuovo ministro dell’Istruzione, nominata dal giovane capo, ha già deciso per noi, caro Faraone. E siamo abbastanza convinti che tu ne sappia qualcosa… Smettetela di far finta di essere altro da ciò che siete, di giocare al doppio tavolo! La strategia è fin troppo chiara. Non siamo – e non siamo mai stati – quella manica di idioti acritici, incapaci di valutare la vostra demagogia da strapazzo, che vi ostinate a tentare di farci apparire.
Una proposta: inviamo a Faraone una mail con i nostri desiderata. Considerando la sua disposizione al dialogo, sarà certamente lieto di farle recapitare direttamente sul tavolo di Stefania Giannini. La quale, indubbiamente, saprà cosa farne.