L’appello ad una assemblea l’8 settembre e poi a scendere in piazza il 5 ottobre a difesa della Costituzione non a caso nasce fuori dal Palazzo. In quello che dovrebbe essere il cuore della democrazia, il Parlamento, quelli che dovrebbero essere i soggetti cardine della partecipazione, i Partiti, danno vita infatti all’ennesima rappresentazione della autoreferenzialità delle cosiddette classi dirigenti.
Da una parte continua l’abbraccio Pd-Pdl, nonostante la condanna di Berlusconi. Dall’altra ogni partito o corrente persevera in posizionamenti continuisti e tatticistici. Puo’ apparire paradossale ma nei fatti l’elemento politico piu’ dinamico e’ quello riferibile al “renzismo”.
Il punto e’ che non si vuole, o non si può, prendere atto dei perché di questa situazione.
Prendiamo l’attacco alla Costituzione. Esso viene avanti ormai da un trentennio. Ma oggi assume una pregnanza politica che rischia di renderlo vincente. E la pregnanza sta nel fatto che le Costituzioni come quella italiana sono state dichiarate insostenibili dai soggetti che stanno conducendo la attuale fase costituente neoliberale. E tra di esse non ci sono solo poteri finanziari globali ma anche il nuovo potere unico europeo. Quello che non a caso e’ riuscito gia’ a manomettere la Costituzione con lo stravolgimento operato dal Fiscal Compact.
Per questo la resistenza piu’ attiva a difesa della Costituzione e’ sostanzialmente fuori dal Palazzo. Perché nel Palazzo quasi tutte le forze sono arrivate avendo sottoscritto l’impegno al rispetto degli obblighi europei. Fa eccezione, in questo, Grillo, che ha un proprio punto di vista di cui pure bisognerà prendere atto evitando di continuare a oscillare tra blandizie e maledizioni.
E’ questo impegno condiviso che sottosta’ al governo della grande coalizione marginalizzando di fatto il tanto declamato antiberlusconismo.
E’ questa vocazione ad essere parte della governance europea che ha reso il Pd quello che e’ diventato in un percorso che dura ormai da un ventennio.
E’ la sottomissione, tatticistica quanto si vuole ma in realta’ cogente per aver sottoscritto quella carta di intenti che aveva al proprio cuore lo sciagurato rispetto degli impegni europei, che pone la sinistra parlamentare nella difficoltà di comprendere e di agire.
E agire bisogna perché tra tanto declamare di non voler essere piu parte della “sinistra sconfitta” in realtà si sta assistendo alle sconfitte piu’ gravi della nostra storia come quelle che hanno portato già a togliere l’articolo 18, a stravolgere le pensioni, a istituzionalizzare la precarietà e a costituzionalizzare il Fiscal Compact.
Non perdere ancora significa oggi bloccare la riforma costituzionale. E a me pare evidente che per farlo occorra non solo far saltare questo quadro politico ma anche arrivare rapidamente ad elezioni.
Come dicevo appare paradossale ma non lo e’ che sia piu ‘ mosso il fronte renziano di quello che era stato etichettato come componente di sinistra. Non lo e’ perché l’adesione piena dell’area renziana all’orizzonte strategico “innovista” gli consente una maggiore disinvoltura tattica e di farsi portatore diretto di alcune delle istanze di quelle forze con cui il Pd ha fatto il compromesso.
Naturalmente c’e sempre il tema della legge elettorale da cambiare. Ma questo e’ così da 20 e piu’ anni. E il tema e’ ancor piu’ quello di quale democrazia si vuole dopo gli sconquassi del maggioritario.
Se devo dirla per come la penso a me pare pessima la legge con cui si e’ votato ma pessimo anche il progetto che si e’ presentato agli elettori, anche dal centrosinistra e dalla sua carta d’intenti.
Vorrei votare si con una nuova legge ma anche con un diverso progetto che rovesci quello della carta d’intenti e ponga al centro un’altra Europa.
Quello che mi pare certo e’ che il modo per arrivarci passa assai piu’ per il 5 ottobre che per il Palazzo.