L'austerità è un muro, il premier ci sbatterà

di Roberto Ciccarelli- Il Manifesto - 14/03/2014
Luciano Gal­lino intervistato da Roberto Ciccarelli per il Manifesto

«Un aspetto che lascia per­plessi in que­sta “svolta” di Mat­teo Renzi – afferma Luciano Gal­lino – è che si pro­met­tono 80–85 euro in più al mese a per­sone che già lavo­rano men­tre sarebbe stato più equo ed effi­ciente spen­derli per creare occu­pa­zione».

Per l’autore di uno dei libri più acu­mi­nati con­tro l’austerità («Il colpo di stato di ban­che e governi») e uno dei «garanti» della lista «Altra Europa con Tsi­pras» alle euro­pee, «è chiaro che 10 miliardi per 10 milioni di per­sone suona bene, e por­terà voti. Ci sono anche misure posi­tive per l’edilizia sco­la­stica, ma se si stan­zias­sero 10 miliardi di euro per un milione di posti di lavoro l’impatto sull’economia sarebbe più forte. Renzi avrebbe dato un chiaro segnale con­tro lo scan­dalo della disoc­cu­pa­zione che in Ita­lia riguarda quasi 3 milioni e mezzo di per­sone. La disoc­cu­pa­zione è la peg­giore ferita per una per­sona. Ma di tutto que­sto non c’è la minima traccia».

Bce e com­mis­sione Ue vogliono il taglio del debito e del defi­cit. Renzi sta andando verso un muro?

Direi di si, ma il pro­blema è che ci sta andando un intero paese. L’idea di tagliare 32 miliardi alla spesa pub­blica con la spen­ding review aumen­terà le pos­si­bi­lità di un disa­stro greco anche in Ita­lia. Nel 2013, lo Stato ita­liano ha incas­sato meno di 520 miliardi tra entrate tri­bu­ta­rie e extra­tri­bu­ta­rie, ma ne ha spesi a fini pub­blici 435. 95 li ha spesi in inte­ressi per far fronte al debito. Se si taglias­sero 32 miliardi avremmo un bilan­cio di entrate che supe­rano i 530 miliardi e per spese impor­tanti, per strade, mae­stri o medici meno di 400. C’è uno Stato che ingoia ma non resti­tui­sce, per­chè ha l’onere del debito pubblico.

Cosa acca­drà con il Fiscal Com­pact nel 2015?

L’impegno di tagliare il debito di un ven­te­simo l’anno per por­tarlo dal 133% al 60% è uno sco­glio che non si può affron­tare. Stiamo entrando in una situa­zione rispetto alla quale la Gre­cia è un’isola felice. L’Italia non è in grado di tro­vare 50 miliardi di euro all’anno da tagliare. È una cosa inim­ma­gi­na­bile fare scen­dere il debito da più di 2 mila miliardi a 900. Acca­drà quello che già acca­duto altrove: tagli alla sanità, i bam­bini affa­mati, la povertà. La porta che abbiamo davanti è di ferro. O la si apre per altre strade o ci si sbatte contro.

Per­ché la riforma Renzi del lavoro è sbi­lan­ciata sul lato delle imprese?

È una que­stione di fondo. Da parte dei poli­tici, e dei gover­nanti, non è mai stata fatta un’analisi sulle cause strut­tu­rali della crisi eco­no­mica. Il lavoro pre­ca­rio è una filia­zione diretta della finan­zia­riz­za­zione dell’economia. L’obiettivo è: mas­sima libertà dei capi­tali, ela­sti­cità della pro­du­zione, creare lavoro usa e getta. Rischiamo lo sce­na­rio inglese dei «con­tratti a zero ore»: chi è assunto, non sa se lavo­rerà per quanti giorni e per quante ore. Dev’essere sem­pre mobile, sal­tare da un lavoro all’altro. Tra l’altro è un grave danno eco­no­mico. In qua­lun­que pro­fes­sione l’esperienza è fondamentale.

Dopo il 1997 con Prodi e Treu, il centro-sinistra intro­duce la pre­ca­rietà e rimanda gli ammor­tiz­za­tori sociali ai tempi lun­ghi di una legge delega. Qual è il motivo di que­sta ferocia?

È sem­plice, pur­troppo. Dopo il crollo dell’Urss la mag­gior parte della «sini­stra», e di chi aveva lavo­rato con quella parte del mondo, ha fatto di tutto per far dimen­ti­care le vec­chie appar­te­nenze e ha cam­biato campo, facendo un salto a destra. Una mino­ranza in que­sto paese si è alleata con gli inte­ressi delle classi domi­nanti, con quello che defi­ni­sco il par­tito di Davos. Il cen­tro­si­ni­stra ne è stato un buon inter­prete. Basti pen­sare alla riforma delle pensioni.

Le pole­mi­che con Flo­res e Camil­leri hanno inde­bo­lito la Lista Tsipras?

Mi rat­tri­sta che si sia svi­lup­pata una situa­zione che di poli­tico non ha nulla. Se ci fos­simo divisi sulla patri­mo­niale, o sulla lotta al par­tito di Davos, sarebbe stato quasi meglio. Qui ci si è impu­tati sulla com­po­si­zione della lista da cui voglio restare lon­tano. Ma le posso dire che, con gli altri garanti e tan­tis­sime altre per­sone, andremo avanti. E par­le­remo di que­stioni con un fon­da­mento politico.

Ste­fano Rodotà in un’intervista al nostro gior­nale ha par­lato di un refe­ren­dum con­tro il pareg­gio di bilan­cio in Costi­tu­zione. Può essere uno stru­mento utile?

È un’ottima noti­zia. Se il primo fir­ma­ta­rio sarà Rodotà, io sarò il secondo. Que­sta norma è una prova di fol­lia e di imbe­cil­lità eco­no­mica. Que­sti incom­pe­tenti che ci gover­nano hanno scelto di met­terlo in costi­tu­zione, ma per l’articolo 4 del trat­tato sul Fiscal Com­pact non era obbli­ga­to­rio. I nostri scia­gu­rati hanno scelto la strada peg­giore. Se aves­sero fatto una legge, sarebbe stato più sem­plice uscirne. Il refe­ren­dum lo cal­deg­ge­rei molto, se la lista Tsi­pras l’appoggiasse. Que­sto può essere un passo molto con­creto per aprire una discus­sione sui vin­coli dei trat­tati euro­pei. L’alternativa è spac­care tutto e uscire dall’euro. Milioni di per­sone andranno per strada. È la solu­zione dei nazio­na­li­sti di destra.

13 aprile 2019

La reazione a catena del caso Assange

Barbara Spinelli - Il fatto Quotidiano
19 marzo 2019

Lettera aperta al segretario generale del PD Nicola Zingaretti

Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Domenico Gallo