Adesso che sono state depositate le motivazioni della storica sentenza del 4 dicembre 2013 con la quale la Corte Costituzionale ha cancellato gli aspetti peggiori del porcellum, è possibile capire la portata ed i limiti di questa decisione che è deflagrata come una bomba nel sistema politico. Dalla lettura della motivazione emerge la consapevolezza della Consulta della fortissima interferenza del controllo di costituzionalità dei sistemi elettorali con le dinamiche politiche attuali. Questa consapevolezza porta la Corte ad un atteggiamento di estrema prudenza e self restrain per evitare che i parametri costituzionali riconosciuti possano condizionare eccessivamente la libertà di azione del Parlamento nella scelta dei sistemi elettorali politicamente più adeguati. La Corte evita accuratamente di indicare quali siano i modelli elettorali compatibili con la Costituzione con l’evidente intenzione di evitare che il Parlamento riscriva le leggi elettorali sotto dettatura della Consulta.
La novità e la forza della sentenza sta tutta nella non facile opera di individuazione dei parametri costituzionali che la politica non può infrangere e che il Parlamento deve rispettare nelle scelte legislative in materia di sistemi elettorali. Su questo terreno la sentenza della Consulta rappresenta una pietra miliare ed interviene a sanare un vulnus alla democrazia costituzionale iniziato oltre 20 anni fa con l’abbandono del sistema proporzionale sull’onda dell’aspirazione diffusa a sacrificare la rappresentatività ed il pluralismo ad ogni sorta di ingegneria costituzionale; un vulnus che aveva raggiunto il suo apice con la legge Calderoli.
Il principio primo che pone la Corte è che le leggi elettorali non possono essere sottratte al controllo di legalità costituzionale. “Diversamente – osserva la Corte – si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico, in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per ciò stesso, si determinerebbe un vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato.
Pur rilevando che non c’è “un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest’ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico – la Corte tuttavia osserva che – il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole”.
Quindi la Corte ci spiega quali sono i principi costituzionali rispetto ai quali si deve articolare il giudizio di ragionevolezza. Innanzi tutto il principio della rappresentatività delle assemblee legislative al quale è collegato il principio della sovranità popolare che si esprime principalmente attraverso il voto. Questo principio può essere bilanciato con altri interessi costituzionalmente rilevanti, in particolare l’interesse ad “assicurare la stabilità del governo e l’efficienza dei processi decisionali in ambito parlamentare”, ma il bilanciamento – avverte la Corte – deve essere ragionevole, non può comportare una compressione illimitata della rappresentatività ed incidere sull’eguaglianza del voto. Per questo la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del premio di maggioranza perché tale meccanismo, combinato con l’assenza di una soglia minima è “tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.)”. Al riguardo la Corte osserva che “ dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”
Quanto alle liste bloccate, la Corte ha ritenuto non compatibile con la Costituzione un sistema in cui la scelta dei rappresentanti è rimessa esclusivamente nelle mani dei partiti, osservando che “in definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione (..) le condizioni stabilite dalle norme censurate sono tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.”
Pur sconfessando il sistema delle liste bloccate, tuttavia, la Corte, mantenendo l’imperativo del self restrain, non pretende di imporre un sistema elettorale in cui debba necessariamente essere prevista la possibilità degli elettori di esprimere una preferenza, considerando compatibili con il principio del voto diretto e libero dei cittadini tanto un sistema uninominale, quanto un sistema in cui il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi. Quali sono le conclusioni immediate che possono trarsi dalla sentenza della Consulta?
La prima è che il sistema elettorale proporzionale – a differenza
dell’opinione comune vigente nel ceto politico – non può essere
considerato una sciagura; al contrario esso è il sistema più coerente
con i principi che regolano la democrazia costituzionale ed i diritti
dei cittadini.
La seconda è che i sistemi elettorali non devono essere necessariamente
proporzionali in quanto è pur sempre ammissibile qualche forma di
compressione della rappresentatività delle assemblee elettive a
vantaggio della governabilità, purchè ciò non comporti un’eccessiva (ed
ingiustificata) divaricazione fra la volontà espressa dagli elettori e
la composizione delle Camere.
La terza è che il sistema elettorale deve rimanere ancorato alla logica
della rappresentatività e non può essere piegato alla logica
dell’investitura. I cittadini elettori votano per eleggere i loro
rappresentanti, non per eleggere un governo o per scegliersi un capo
politico da cui essere comandati.