Alla fine, con gli emendamenti Finocchiaro alla riforma costituzionale, scoppiò la pace, accompagnata da vistose manifestazioni di giubilo. A dire il vero, non si capisce di cosa gioisca la fu minoranza Pd. Per la elezione popolare diretta dei senatori, che aveva assunto come bandiera, ha perso su tutta la linea.
Il testo conclusivamente concordato conferma anzitutto che i senatori sono eletti dagli «organi delle istituzioni territoriali». Quindi non dai cittadini. Si rincara poi la dose aggiungendo «in conformità delle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi …». E qui l’ambiguità raggiunge vertici ineguagliati.
Si consideri il concetto di conformità. Qualunque sia il significato che si vuole riconoscere alla parola, di sicuro non può intendersi come «esattamente coincidente con». Se così fosse, infatti, il potere di eleggere i senatori che la norma attribuisce alla assemblea territoriale sarebbe una scatola vuota, una inutile superfetazione. L’unica lettura possibile è che l’assemblea territoriale possa allontanarsi, in più o meno larga misura, dalla volontà degli elettori.
In ogni caso, quali sono le scelte degli elettori rispetto alle quali bisogna osservare la conformità? Dice la norma: quelle espresse per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo degli organi di cui fanno parte. Quindi, l’elettore non vota Tizio, Caio o Sempronio per il senato, decidendo l’esito. Vota per il consigliere. Chi poi acceda al seggio senatoriale dipenderà dalla lettura data alla «conformità». Inoltre, come ho già scritto su queste pagine, basterà una rosa più ampia del numero di senatori da eleggere per azzerare ogni necessaria corrispondenza tra la volontà popolare e i senatori conclusivamente eletti.
Cosa ha a che fare tutto questo con l’elezione popolare diretta dei senatori? Ovviamente, nulla. L’emendamento concordato se ne allontana persino di più di soluzioni via via ipotizzate, come le indicazioni o designazioni da parte degli elettori.
Infine, tutto viene affidato a una successiva legge. Qui c’è l’unico effettivo miglioramento, perché non si tratta più di legge regionale, ma di legge statale. Diversamente, ogni regione avrebbe fatto i senatori a propria immagine e somiglianza, magari dando un’aggiustatina alle regole in prossimità del turno elettorale, per garantire il seggio a un amico o sodale.
E se comunque alla fine, nonostante le maglie così larghe, l’assemblea territoriale non si attenesse alla «conformità», magari per motivi futili o abietti, familistici o di clan? Quali rimedi? Un mondo nuovo di interessanti possibilità si apre per politici affamati di clientele e avvocati.
L’emendamento Pd non può in alcun modo essere gabellato come
ripristino dell’elettività dei senatori. Gli altri emendamenti
concordati sono poca cosa, e avremo modo di occuparcene. La riforma
era pessima, e tale rimane. Interessa ora vedere se Grasso sarà
indotto a una apertura anche su altri emendamenti. Ma intento una
domanda rimane: perché la minoranza Pd ha dato disco verde? Forse per
l’originalità della soluzione, visto che non ci risultano altre
esperienze in cui si trovi una sovranità a mezzadria tra il popolo
e un’assemblea elettiva territoriale? Possibile che credano
davvero di avere difeso con efficacia i fondamenti della
democrazia?
Per una lettura diffusa gli ex dissidenti hanno barattato la
Costituzione con qualche mese di poltrona senatoriale. Letture
più sofisticate parlano di partite giocate nel Pd emiliano.
Probabilmente c’è del vero in entrambe. Ma intanto è certo che Renzi
ha saputo giungere allo sterminio politico della minoranza, di cui
ha dimostrato l’irrilevanza. Forse, l’irrigidimento apparentemente
irragionevole e incomprensibile su riforme palesemente
sbagliate è stato strumentale anche a questo obiettivo.
Della minoranza Pd avremmo voluto condividere obiettivi e ambasce.
Potevano nascerne esperienze politiche significative. Per come
si arriva al traguardo, non è così. Anzi, troviamo si adatti bene agli
ex dissidenti una storica battuta cara a molti di noi: andate senza
meta, ma da un’altra parte.