L'auto che falcia i passanti con un fanatico che la guida è un
"format" che si ripete e si ripeterà in tutta Europa, nei prossimi
anni.
La globalizzazione della guerra è un
effetto ottico per generare panico da insicurezza e dare l'idea che il
nemico può arrivare da lontano, fino nelle tue strade. La "percezione" è
che non c'è più la tradizionale distanza di sicurezza tra fronte e
retrovie, tra campo di battaglia e città, tra militari e civili. La
guerra è ovunque, ci dicono, cambia solo la sua intensità. E così, ci
sentiamo al fronte anche se usciamo per prendere la metropolitana che ci
porterà in ufficio.
Ma è veramente cosi? No.
C'è una strumentalizzazione reciproca tra frustrazione locale che uccide
in occidente e jihadismo globale che dopo rivendica la strage da
oriente.
Tra il combattente urbano che si alza e decide un
suicidio collettivo perché non ha più nulla da perdere e il
fondamentalismo che lo arruola da morto tra le fila dei suoi eroi.
Questo continuo rimando tra nemico interno ed esterno confonde le
analisi e le strategie, spostando il problema sul campo militare
(invasione), perdendo di vista la sua connotazione sociale
(emarginazione).
Il panico fa dimenticare che
la diseguaglianza è un elemento chimico che a contatto con il
fondamentalismo religioso esplode, perché dà uno sbocco violento alla
frustrazione. Quando il pazzo esce di casa e sale in macchina per
ammazzare e farsi ammazzare, è tardi per evitare il peggio. Occorre
lavorare prima, nelle nostre società, contro le nostre ingiustizie,
perché è dalle nostre periferie che arrivano gli assassini, non dai
barconi.
La rivendicazione dei jihadisti arriva
dopo, per dare l'idea di un'organizzazione planetarie e invincibile, ma
è un trucco. Gli assassini ce li creiamo in casa e il deserto da dove
arrivano non è quello orientale, ma quello urbano.
Massimo Marnetto