“La vera società non esiste: ci sono uomini e donne, e le famiglie”, spiegava Margaret Thatcher nel lontano 1980. L’inizio della fine della democrazia che l’Europa sta vivendo nel 2015, l’annus horribilis in cui Banca centrale Europea e Fmi piegano il volere di cittadini e governo greco, è lì. All’origine dell’applicazione pratica delle politiche neoliberiste, sostiene il sociologo Luciano Gallino. Fosse stato per la Scuola di Chicago di Milton Friedman, i Chicago Boys, i pensatori che costruirono l’impero teorizzando che il mercato si regola da solo, e che meno stato nell’economia meglio è, si sarebbe già potuto iniziare nei primi anni Settanta. Giusto il tempo degli ultimi fuochi keynesiani dei “Trente Glorieuses” (1945-75), quelli della ripresa economica improntata sul risparmio e sul welfare, sulle istituzioni statali indipendenti e sovrane rispetto ai fondi monetari, alle banche mondiali, alla rapacissima finanza. Il big bang lo fa deflagrare quella signora dalla permanente un po’ blasé, assieme all’ex attore hollywoodiano Ronald Reagan, che cominciano ad asfaltare sindacati e sindacalizzati, a cancellare il sistema di welfare a protezione delle fasce più deboli. Le tornate elettorali cominciano a diventare un optional. Governi conservatori o progressisti, europei o statunitensi, agiscono tutti verso la stessa direzione: smantellare lo stato sociale e privatizzare i servizi pubblici. Tanto ci pensa il mercato.
“Il potere economico nella forma che conosciamo si chiama capitalismo e per un certo periodo nel dopoguerra al capitalismo sfrenato si è potuto opporre qualche ostacolo favorendo prima di tutto la crescita economica e sociale di lavoratori e ceti medi”, spiega Gallino, ordinario di sociologia all’Università di Torino dal ’71 al 2002, e autore di un volume sul tema intitolato “Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa” (Einaudi). Per lo stesso editore sta per pubblicare “Il Denaro, il debito, la doppia crisi”. “Dopo il 1980 però comincia la controffensiva neoliberale che ha avuto la meglio su tutti i governi d’Europa compresi quelli socialisti e socialdemocratici che non erano differenti nella pratica da quelli neoliberali e conservatori – continua Gallino – E’ stata una rivincita delle classi dominanti che ha avuto un successo straordinario. L’unico governo da allora ad oggi non allineato è forse quello greco di Tsipras”.
Ma come si è innescata la stessa dinamica impositiva del credo neoliberista nelle istituzioni e nel governo dell’Unione Europea?
A partire dagli anni Ottanta, a partire dagli Stati Uniti ma con un
grosso contributo delle nazioni europee, si è affermato il processo
cosiddetto della “finanziarizzazione”, per cui interessi e paradigmi
finanziari hanno avuto la meglio su qualsiasi altro aspetto
socio-economico. Il percorso di liberalizzazioni avviato in Usa da
Reagan è avvenuto anche in Gran Bretagna con la Thatcher, e in Francia
ad opera nientemeno che di un socialista come Mitterand. Tutto ciò ha
fatto sì che il sistema ‘ombra’ delle banche, non assoggettabile in
pratica ad alcune forma di regolazione, oggi valga quanto il sistema
bancario che lavora per così dire alla ‘luce del sole’. Sono stati
compiuti eccessi non immaginabili in campo finanziario, che hanno
fortemente danneggiato l’economia reale. Qualunque dirigente o
imprenditore di fronte alla possibilità di fare il 15% di utile
speculando a livello finanziario o il 5% producendo beni reali, ha
cominciato a scegliere la prima opzione senza stare più a pensarci
troppo.
Poi c’è stata la crisi del 2007-2008…
Una crisi causata soprattutto dalla “finanziarizzazione”, non disgiunta
dalla stagnazione dell’economia reale. A cui si dovevano far seguire
serie riforme a livello bancario e finanziario, anche solo tornando alle
regole, tipo la legge Glass-Steagall del ‘33, che avevano assicurato 50
anni di stabilità. Però non si è fatto nulla. Le banche e il sistema
finanziario sono tornate più grosse, prepotenti e invadenti di prima
della crisi. L’euro e la superiorità della Germania riflettono i
risultati della finanziarizzazione. Va detto che la politica tedesca è
stata quella di comprimere i salari dei propri lavoratori, e di
utilizzare fiumi di forniture a basso prezzo dai paesi industriali
dell’Est per favorire le proprie esportazioni in modo incredibile. Nel
2014 l’eccedenza degli incassi tra import ed export è stata di 200
miliardi di euro. I crediti di qualcuno sono però i debiti di qualcun
altro: spesso dei paesi impoveriti sotto il predominio della Germania,
alla quale l’euro ha giovato moltissimo, impedendo agli altri paesi di
svalutare la propria moneta per stare dietro alla competitività tedesca.
Il caso greco sarà quindi il primo di tanti altri che arriveranno?
Sì. Con la Grecia i tedeschi hanno detto: “Umiliarne uno per educarne
diciotto”, se parliamo dell’eurozona. Ne seguiranno altri. La Germania
procede con decisione, la sua industria e le sue banche sono
pesantemente coinvolte nel meccanismo infernale che hanno messo in moto.
Dopo la Grecia toccherà all’Italia, alla Spagna, e anche alla Francia.
Eppure il presidente Renzi ogni giorno vara una nuova riforma…
Le riforme di Renzi si collocano tra il dramma e la barzelletta.
Rispetto alle dimensioni del problema, alla gravità della crisi, il Jobs
Act è una stanca ricucitura di vecchi testi dell’Ocse pubblicati nel
1994 e smentiti dalla stessa Ocse: la flessibilità non aumenta
l’occupazione. Abbiamo perso il 25% della produzione industriale, il
10-11% di Pil, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono penosamente
modesti. I giochetti delle riforme sono l’apoteosi preoccupante del
fatto che il governo non ha la più pallida idea dei problemi reali del
paese; o forse ce l’hanno ma procedono per la loro strada di passiva
adesione alle politiche di austerità.
C’è chi vede la capitolazione greca di fronte alla fermezza
Bce e Fmi come l’atto più antidemocratico avvenuto in Europa negli
ultimi vent’anni. Che ne pensa?
“Il ministro Schauble, il mastino della Germania e dell’euro, sta
preparando altre strettoie dittatoriali per rafforzare il dominio
tedesco sugli altri paesi dell’eurozona. A me pare che per un paese che
vale demograficamente un ottavo della Germania, tener testa per cinque
mesi agli ottusi e feroci burocrati di Bruxelles, della Bce e del Fmi
sia un altissimo riconoscimento, un grande esempio di dignità politica.
L’Italia è lontana anni luce dalla Grecia. Siamo un paese economicamente
molto più pesante e di fronte ai memorandum europei avremmo potuto
ottenere risultati maggiori; ma questi neoliberali che ci governano
rappresentano le classi sociali alleate con la finanza che ci domina.
Renzi un neoliberale come Reagan e la Thatcher?
Sì. Anche Monti arrivò da Bruxelles, grazie all’intervento di
Napolitano, per fare il gendarme delle più grandi insensatezze mai
immaginate in campo economico: il pareggio obbligatorio di bilancio
inserito addirittura in Costituzione, le riforme regressive del lavoro, i
tagli forsennati alle pensioni. La Commissione Europea e la Bce ci
mandano lettere che assomigliano ai feroci memorandum mandati alla
Grecia. Ci manca soltanto che ci mandino lettere con su scritto come
confezionare il pane, proprio come suggerito nell’accordo
dell’Eurogruppo con Tsipras il 12 luglio.
Che c’è scritto in materia di produzione del pane?
Si tratta di una indicazione dell’Ocse richiamata espressamente nel
testo dell’accordo. Da sempre i panettieri greci vendono due tipi di
pane: da mezzo e da un chilo. Nella “cassetta degli attrezzi” dell’Ocse
(così si chiama) ci sono alcuni paragrafi dedicati ai fornai a cui viene
imposto, al fine di allargare la liberalizzazione di un paese e bla bla
bla, di introdurre varie altre pezzature di diverso peso delle
pagnotte. E poi il pane dovrà essere venduto in qualunque posto, anche
nei saloni di bellezza, se lo vogliono. Capirete bene cosa rappresenta
un’imposizione del genere: si sta dicendo ad un paese intero come fare
il pane. Pensiamo ai 30mila dipendenti della Cee a Bruxelles e alle
migliaia che lavorano per l’Ocse e per l’Eurogruppo con le loro
macchinette mentre calcolano migliaia di coefficienti e trovano il tempo
e ritengono opportuno intervenire sul pane. Si è raggiunto un livello
di imbecillità inaudito, ed è soprattutto una forma di dittatura che
avanza.
Ci può spiegare il concetto di “autoritarismo emergenziale” che ha coniato?
Un governo che ha una vocazione autoritaria, ma è ancora soggetto al
peso del voto, deve trovare buone ragioni per imporre le sue misure
autoritarie. Per farlo ricorre allo “stato di eccezione”, un vecchio
concetto politico che indica che una parte di uno stato che non ne
avrebbe diritto si appropria di poteri non suoi. Lo stato di eccezione
può essere costituito dalla guerra, da epidemie, da disastri naturali,
dove s’impone che la Costituzione venga messa da parte. Ricordiamo la
costituzione della repubblica di Weimar, la più liberale d’Europa.
Conteneva un articolo sullo stato di eccezione che nel 1933 permise al
capo di governo Adolf Hitler di appropriarsi del potere assoluto facendo
fuori gli altri partiti e poi la costituzione stessa. In Europa con la
crisi delle banche, non solo americane, e grazie alle folli
liberalizzazioni sono emerse le montagne di debito a cui gli istituti si
sono esposti. Quando queste procedure sono cadute come castelli di
carta i governi si sono dissanguati per salvare le banche con fiumi di
denaro che hanno indebolito i bilanci pubblici degli stati. Così il
debito pubblico europeo è salito in due anni dal 65% all’85% e i governi
hanno inventato uno stato di eccezione, quello della spesa eccessiva
per la protezione sociale. Si è speso troppo? Bisogna tagliare i bilanci
pubblici. Così s’impongono misure sempre più dittatoriali.
Secondo lei ci sono le condizioni per constrastare ideologicamente e culturalmente la vulgata neoliberista?
Il neoliberismo ha stravinto la battaglia culturale, ha conseguito
un’egemonia a cui Gramsci poteva guardare con invidia: controlla 28 su
29 governi dei paesi dell’area europea, qualunque siano i nomi dei
partiti al governo. Hanno il 95% della stampa a favore, il 99% delle tv,
dominano nelle università, e hanno conquistato i governi. Sono
piuttosto difficili oggi da sconfiggere. La sinistra come forza
partitica poi non esiste più e quindi non ha la forza di opporre un
ruolo di riflessione o denuncia paragonabile a quello all’attacco
vincente dei neoliberisti. Inoltre non ci sono saggi, libri, testi da
contrapporre all’egemonia culturale neoliberale, qualcosa che contrasti
la favola dei mercati efficienti, della finanza che inaugura una nuova
fase del capitalismo e altre amenità simili.
Le vecchie categorie di pensiero del Novecento non bastano più per comprendere la realtà politica attuale?
No, ce ne sono alcune che funzionano ancora bene. Il fatto è che non
basta dire “proletari della UE unitevi”, o cambiando forma dire
‘precari’ o ‘classi medie impoverite della UE unitevi’. Qui bisogna
fornire idee, documenti, possibilità di azione e controreazione. Possono
esserci milioni di elettori che voterebbero una politica di sinistra,
realmente progressista, per uscire dall’austerità, ma chi glielo spiega?
C’è chi indica il salvataggio nell’uscita dall’euro. Oppure
decondo lei si può stare dentro e modificarne in qualche modo il
pensiero dominante?
Al di là della demagogia di alcuni politici italiani, l’euro è una
camicia di forza peggiore anche del ‘gold standard’. Ha giovato solo
alla Germania, perfino la Francia ha perso punti nelle esportazioni e
aumentato la disoccupazione. Così com’è l’euro non può più funzionare.
Sia chiaro che uscire dall’oggi al domani non si può, sarebbe un
disastro per i depositi bancari, la fuga dei capitali, la forte
svalutazione della moneta sul mercato internazionale. Ma bisognerà
affrontare presto la questione del “se e come uscirne”, perchè ciò vuol
dire molti mesi di preparazione; oppure possiamo tentare di temperare
questa uscita in qualche modo: affiancare all’euro una moneta parallela
che permetta ai governi di avere libertà di bilancio, mentre con gli
euro si continua a sottostare al giogo dei creditori internazionali.
Purtroppo con la Germania al comando e l’inanità del nostro e degli
altri governi non c’è molto da sperare. Intanto i muri della Ue
scricchiolano e prima o poi sarà il peggioramento della crisi a imporci
decisioni drastiche. Sempre che non arrivi Herr Schauble a dirci che non
ci vuole più nell’euro. Non è una battuta, stando ai documenti che
circolano”.