Strano destino, quello della Corte costituzionale. La sentenza 1/2014 sull’incostituzionalità del Porcellum è stata per molti versi epocale. Quella di oggi sull’Italicum è minimale, e lascia una traccia più modesta.
Disco rosso al ballottaggio, giallo – grazie a un sorteggio – ai capilista bloccati, verde al premio di maggioranza.
Per il paese, una attesa inutile. Per un felice accidente della storia l’Italicum era nei fatti – già prima della sentenza – per una parte consegnato agli archivi. Era in agenda il ripristino del premio alle coalizioni, perché non farlo avrebbe messo a rischio la maggioranza di governo. Il punto potrebbe ora essere ripreso.
L’evoluzione in senso multipolare del sistema politico aveva indotto molti a suggerire l’eliminazione del ballottaggio, per il rischio di una vittoria del Movimento 5 Stelle. Da questo punto di vista, l’opportunità politica anticipava l’esito della pronuncia.
Per il resto, l’Italicum era una gruccia per la strategia personale di Renzi sul Pd e su Palazzo Chigi. Un obiettivo alla fine dissolto dal voto del 4 dicembre.
Che Matteo Renzi sopravviva politicamente è questione aperta. Ma non pochi pensano che Renzi sia stato l’espressione a Palazzo Chigi di poteri finanziari, economici, imprenditoriali.
In tale ipotesi, il renzismo è altra cosa. È la concentrazione del potere sull’esecutivo, l’asservimento delle assemblee elettive e la riduzione della loro rappresentatività, la compressione della partecipazione democratica. È una complessiva filosofia di governo, che si traduce, quanto alle soggettività politiche, nel partito della nazione. Una filosofia in grado anche di sopravvivere a un cambio di cavallo deciso da chi ha sostenuto Renzi, ma potrebbe oggi considerarlo cotto e non più spendibile.
La domanda è: su tutto questo, la sentenza della Corte è decisiva?
Tolto il ballottaggio, il fulcro della pronuncia è nel mantenere il premio di maggioranza. La distorsione della rappresentatività dell’assemblea elettiva è molto alta, pur con la soglia al 40%. Conta poco che sia difficile per un singolo partito raggiungerla. È decisivo per la costituzionalità che la distorsione sia possibile, non che sia probabile o certa. Rimane anche la lesione del voto eguale data dalla previsione di un quoziente elettorale di maggioranza e uno di minoranza. E rileva infine che la soglia può solo rafforzare il disegno del partito della nazione.
Al tempo stesso, è discutibile la scelta della Corte sui capilista bloccati salvo sorteggio in caso di pluricandidatura. Significa che è il partito a decidere se i cittadini hanno diritto di scegliere o no. Per negare il diritto basta che il capolista sia candidato in un solo collegio. È poi ovvio che i capilista bloccati si presentano come pretoriani fedelissimi al capo – del partito vincente o di quelli perdenti – utili a controllare l’assemblea. Assicurano inoltre al capo del partito un pacchetto di posti sicuri, da spendere per coalizioni, listoni, o il partito della nazione di cui sopra.
Almeno in parte, i pilastri istituzionali del renzismo – con o senza Renzi – rimangono in piedi.
Che fare?
Il punto di partenza è che entro gli argini posti dalla Corte le scelte rimangono tutte aperte. Per intenderci, una pronuncia che legittima il premio di maggioranza non pone ostacolo a un parlamento che sceglie piuttosto un sistema proporzionale. Lo stesso vale per i capilista bloccati.
Il tentativo di referendum abrogativo dell’Italicum era diretto appunto contro il renzismo, non contro Renzi.
Ora la parola è agli attori in Parlamento. Sono chiamati al compito di limare la normativa di risulta, e di rendere omogenei i sistemi elettorali delle due Camere, di cui solo uno con premio di maggioranza. Dalla differenza possono venire problemi di governabilità, e il duo Mattarella-Gentiloni potrebbe ritenere necessario il tempo per un intervento correttivo.
La pronuncia della Corte riconsegna al Parlamento sovrano la piena responsabilità del decidere, tenendo conto della volontà popolare espressa il 4 dicembre e della necessità di tutelare pienamente i diritti dei cittadini elettori.
Lor signori facciano il proprio mestiere. Non siamo mai stati – e mai saremo – fra quelli per cui il parlamento è un costo inutile della politica. Ma una prova sarebbe gradita.