La povertà è una patologia della convivenza. E' il luogo dove il bisogno non diventa diritto, perché il preter-capitale ha la forza per non essere redistribuito.
Solo per restare in Italia, la diseguaglianza è enorme:
il 20 per cento dei più ricchi è arrivato a detenere quasi
il 70 per cento della ricchezza. Eppure, le tasse -
l'antibiotico contro il morbo della povertà - sono viste
come un furto, gli evasori ammirati e i partiti fanno a gara
a chi ne abolisce di più, senza mai nominare il recupero
dell'evasione. Non solo, ma sono anni che si tenta di
imporre una piccola tassa alla speculazione finanziaria -
l'attività responsabile della forme più veloci di
concentrazione della ricchezza senza lavoro - ma i
miliardari riescono sempre a condizionare i politici e a far
rimandare ogni decisione definitiva. Anche se si procede
lentamente verso questo obiettivo, grazie alla tenacia degli
attivisti organizzati in tutto il mondo per la Tassa sulle
Transazioni Finanziarie.
La povertà non è un solo un problema etico, ma politico.
Perché oltre un certo limite erode la democrazia. Iniziando
dalla rappresentanza. Chi vede continuamente ignorati i
propri bisogni primari (lavoro, casa, salute, genitorialità,
incolumità, ecc) difficilmente vota. Ha altro per la testa.
E gli alti indici di astensionismo hanno anche questa causa,
che non significa assenza di grandi masse dal dibattito
politico, ma la loro disponibilità a proposte estreme.
Se vogliamo uscire da questa prospettiva, ci vuole
qualcuno che abbia i coraggio di dire che pagare tasse
progressive è l'unico modo per rispettare i bisogni-diritti
e debellare la mortifera concentrazione di ricchezza. Dove i
pochi miliardari sono al riparo dei paradisi fiscali e la
moltitudine di poveri soffre ogni giorno negli inferni
globali.
Massimo Marnetto