Per troppo tempo abbiamo concepito l’Europa come un’istituzione tecnica che si occupa di dettagli economici come il commercio, l’inflazione, il valore dell’euro, le contabilità nazionali. Temi apparentemente aridi e neutri, ma vere bombe a orologeria a giudicare dai loro effetti.
L’Europa si trova nel mezzo di una crisi sociale senza precedenti. Nell’intera Unione Europea si contano 125 milioni di poveri, 28 milioni di disoccupati, 94 milioni di Neet, giovani che né studiano né lavorano. Numeri che trovano conferma in Italia con i suoi 7 milioni di disoccupati, compresi gli scoraggiati e i cassintegrati; i suoi 10 milioni di persone cadute in povertà e altre 10 a rischio di caderci; i suoi 2 milioni di giovani che forse non si alzano neanche da letto dal momento che non hanno nessun tipo di impegno per la giornata.
I numeri sono andati peggiorando dal 2008, anno in cui scoppiò la crisi, prima bancaria, poi dei debiti sovrani, infine dell’intera economia. Una concatenazione di eventi niente affatto automatica, ma frutto di vere e proprie scelte di classe. Perché in economia non esistono scelte neutre: o stai da una parte o stai dall’altra. Sfortunatamente per noi, l’Europa, o meglio l’insieme dei governi europei, si è affrettata ad allinearsi sulle posizioni degli Usa, del Fondo Monetario Internazionale, ed ha scelto di salvare le banche contro i cittadini e i lavoratori. I fatti sono noti. A fine 2007 i sistemi bancari delle due sponde dell’Atlantico sono arrivati sull’orlo della bancarotta come risultato di operazioni speculative andate male. Prontamente sono intervenuti i governi pompando migliaia di miliardi negli istituti bancari, parte messi a disposizione dalle banche centrali, parte attinti dai bilanci pubblici. A conti fatti risulterà che i soli governi europei hanno impegnato 4500 miliardi di euro per operazioni di salvataggio bancario. Ma poiché quei soldi non li avevano, hanno indebitato i cittadini che oggi sono alle prese con un debito pubblico complessivo di 14000 miliardi di euro a livello di Unione Europea.
Poteva andare diversamente? Sì. Bastava decidere di limitarsi a proteggere i piccoli contocorrentisti, abbandonando al loro destino azionisti e grandi creditori, che sapendo leggere e scrivere dovrebbero sapere che se si prestano soldi a chi si diletta in scommesse, si può anche perdere tutto. In altre parole bastava fare come l’Islanda che ha evitato di indebitarsi oltre misura, limitandosi a proteggere i piccoli risparmiatori lasciando che tutti gli altri si leccassero le ferite.
Ma soprattutto poteva andare diversamente in seguito, quando la speculazione si abbatté sui debiti sovrani ormai diventati l’anello debito della catena.. La prima vittima della situazione fu la piccola Grecia che ad un tratto si trovò costretta a dover pagare il 30% di interessi per ricevere anche un solo euro di prestito. L’Europa poteva scendere al suo fianco per difenderla dai lupi che le giravano attorno, sguainando la spada della legge e del potere di emissione della Banca Centrale Europea. Invece vestì i panni del difensore dei creditori e assieme al Fondo monetario internazionale cacciò fuori i soldi per garantire i loro averi alle banche tedesche e francesi. Ma diventato il nuovo creditore, tirò fuori il manganello e assieme agli altri due compari, il Fondo Monetario e la BCE, impose regole ferree di aggiustamento di bilancio.
Le conseguenze ce le hanno raccontate le organizzazioni sanitarie ed umanitarie. Tre milioni di greci, il 27,2% della popolazione, sono senza copertura sanitaria. La mortalità alla nascita è aumentata del 21% mentre la mortalità infantile è cresciuta del 43%. Stanno tornando malattie come la malaria e il virus Western Nile, mentre esplodono i casi di Aids e di tubercolosi come conseguenza della malnutrizione, del peggioramento delle condizioni igieniche e del collasso dei programmi di assistenza. Tra il 2007 e il 2011 i suicidi sono aumentati del 45%. Risultato drammatico della riduzione di spesa per la salute mentale che ha portato alla chiusura di moltissimi servizi di psichiatria.
L’austerità non è un flagello celeste. E’ la conseguenza di un’impostazione mentale e politica che antepone l’ordine contabile e l’interesse dei creditori alla dignità delle persone. Se l’Europa volesse, avrebbe molte altre strade a propria disposizione per tirare i paesi europei fuori dalla palude del debito. Per cominciare potrebbe riformare la Banca Centrale Europea trasformandola in un organo di governo della moneta al servizio della piena occupazione e della promozione sociale. Ma qualsiasi soluzione che non sia quella dell’austerità presuppone un scelta di classe diversa da quella che ha fatto l’Europa. La scelta di stare dalla parte dei cittadini invece che dei creditori.
Se l’Europa sapesse sciogliersi dall’abbraccio dei creditori e sapesse dire basta al debito come forma di spremitura delle comunità nazionali per garantire rendite all’1% del pianeta che detiene il 40% della ricchezza mondiale, affermerebbe senza tentennamenti che il debito pubblico europeo ha assunto dimensioni troppo grandi per essere pagato. Sfiderebbe i creditori affermando che i sacrifici non possono essere a senso unico. Affermerebbe che quando un paese è in difficoltà anche i creditori devono fare la propria parte accettando riduzioni nella riscossione degli interessi e tagli alla restituzione di capitale.
In una situazione come la nostra servirebbe un giubileo come era in uso presso gli ebrei. Ma sarebbe già qualcosa se sostenessimo la proposta di Alexis Tsipras, candidato della sinistra alla presidenza della Commissione europea. Da cittadino greco che ha visto in faccia le conseguenze più estreme dell’austerità propone la convocazione di una conferenza europea sul debito pubblico per discutere un piano d’uscita concordato. Dichiarazione di fallimento? Forse. Ma solo nell’ottica dei creditori. In quella dei cittadini sarebbe semplicemente difesa della dignità umana.
Un altro ambito in cui la mentalità mercantile dell’Europa sta creando così gravi problemi da condurla all’implosione, è la gestione dell’euro. E’ ormai a tutti ben chiaro che senza provvedimenti atti a colmare le differenze territoriali, l’euro è una ghigliottina al servizio delle imprese più forti per decapitare quelle più deboli. Se dunque vorrà mantenere la moneta unica, l’Europa dovrà frenare i paesi più forti e rafforzare i più deboli. Questo dovrebbe fare un’Europa a vocazione sociale: vigilare che nessuno si espanda a tal punto da danneggiare gli altri e intervenire con misure fiscali, doganali, creditizie per rendere il contesto europeo più omogeneo da un punto di vista salariale, normativo, contributivo. Se invece si incaponirà a voler fare il custode della guerra di tutti contro tutti, lasciando che i più forti sopraffacciano i più deboli, beh allora non solo scomparirà l’euro, ma la stessa Unione Europea che si trasformerà in una polveriera di odio reciproco.
Potremmo continuare a parlare dell’ottusità sociale dell’Europa, soffermandoci sull’ostilità verso gli immigrati, sullo stravolgimento della cooperazione internazionale dirottata sempre di più in attività mercantile, sugli stretti legami con le lobby finanziarie e imprenditoriali, sugli accordi a protezione degli investimenti portati avanti in gran segreto con gli Stati Uniti.
In
conclusione il grande fine da perseguire è cambiare anima all’Europa.
Farla passare dal DNA mercantile a quello sociale. Farla smettere di
essere ostaggio di banche, assicurazioni e ogni altro genere di
multinazionale, per farla diventare paladina della pace, del creato,
della dignità del bambino, del disoccupato, dell’anziano, dell’ammalato,
del rifugiato, del senza casa, del senza scuola, del senza futuro. Ma
l’Europa non cambierà da sola. Lo farà solo se costretta dal basso. Tocca a noi, a ciascuno di noi, e in particolare ai cristiani, costruire quella forza d’urto capace di scuoterla. Se non ora, quando?