La presunzione di innocenza, o meglio "di non colpevolezza", sino a sentenza definitiva viene sbrigativamente definita "garantismo". Ma il garantismo è un'altra cosa.
Consisterebbe nella concreta possibilità per qualunque imputato di difendersi pienamente in un qualunque processo penale. Coinciderebbe, da Beccarla in avanti, con l'habeas corpus e il diritto alla difesa sostanziale e di difendersi in contraddittorio con chi ti accusa e pretende di privarti della libertà personale. Diritto evidentemente ostacolato, impedito o anche precluso alle persone più umili e povere, nonché ai tanti stranieri che affollano il sistema penale carcerario. Viceversa anche abusato dalle persone più facoltose che possono permettersi difese molto costose e approfittare delle falle numerose, e spesso volute con la legislazione ad personam, del sistema processuale e sostanziale per ritardare i tempi, annacquare le prove, arrivare in troppi casi alla prescrizione.
Una difesa ad oltranza dal processo. Prescrizioni che non significano assoluzioni. Come sarebbe possibile considerare innocente l'autore "filmato" e reo confesso del rogo di Palermo di ieri con cui è stato assassinato un senzatetto? Aspettando la sentenza definitiva lo eleggiamo/nominiamo senatore?
Ergo, in questi giorni dal palco del Lingotto occupato da Renzi e la sua corrente, e giù (o su) dicendo, tanti confondono le acque dichiarandosi "garantisti", da Renzi e anche alla Raggi. Tutti garantisti lor signori, e per se stessi, senza "garanzie" per tutti i cittadini.
Cominciando dai più poveri. Per i quali, presentato dal Governo come un «passo storico», la recente legge delega sul contrasto alla povertà e l'introduzione del Reddito d'inclusione (REI) avrebbe introdotto uno "strumento universalistico" con cui affrontare l'enorme esercito di poveri. Misura largamente insufficiente: copre meno di un quarto della "povertà assoluta" (1.582.000 famiglie, per un totale di 4.598.000 persone, quelle che non hanno il minimo indispensabile per una vita decorosa: mangiare tutti i giorni, avere un tetto, vestirsi, curarsi. Circa la metà dei cittadini in condizione di «povertà relativa» (più di 8 milioni e mezzo), e un quarto dei "deprivati" (circa 19 milioni).
Numeri agghiaccianti che provocano vergogna, per cui si stanzia, per il 2017, quasi un miliardo con l'aggiunta di altri 600 milioni e accorpamenti di altre voci (risorse sottratte ad altri poveri, ovvero alle non autosufficienze, agli asili nido, alle politiche sociali, il cui fondo è stato ridotto a un ventesimo rispetto al 2005) e, qualcosa, dall'Europa. Essa dovrebbe permettere una integrazione del reddito fino a 480 euro mensili, attivando una inevitabile guerra tra poveri condita da mille difficoltà e ostacoli burocratici (quali l'accesso a diversi uffici non coordinati tra di loro, la dimostrazione dei «mezzi» tramite Isee con modulistiche complicate anche per gli addetti ai lavori, l'accettazione di un percorso di inserimento lavorativo spesso impossibile,in specie per le persone con disabilità grave e/o psichica e i senza casa, come se tutti i "poveri assoluti" fossero disoccupati, un patto sottoscritto di buona condotta).
Senza contare i cori xenofobi che accompagneranno gli stanziamenti. Il tutto a condizioni non chiare tutte per quanto concerne in specie la definizione di chi è "bisognoso" e del chi e come lo individuerà. Da definire con futuri decreti attuativi da parte del governo.
Ancora una volta indennità monetarie, mentre nulli o pochissimi restano i servizi. Quando la strada da percorrere è quella della integrazione tra aiuti monetari e servizi personalizzati, verrebbe da dire: il solito espediente della "politica annuncio".
E la memoria, ma anche la speranza, vanno a un libro scritto da Ernesto Rossi, il coautore del Manifesto di Ventotene, nel 1945, ripubblicato nel 1977 (a dieci anni dalla morte dell'autore) da Paolo Sylos Labini per Laterza: "Abolire la miseria".
"Un piano radicale di protezione sociale scritto da un liberista", ha scritto Valerio Zanone. "L'idea di fondo, simile al contratto sociale dei Webb, è di abolire la miseria con la fornitura gratuita dei beni e servizi essenziali per un minimo definito di vita civile senza regalare nulla a nessuno e senza sopprimere le 'ineguaglianze salutari' che devono restare fra pigri e laboriosi, inetti e capaci".
Ernesto
Rossi vi aggiungeva di suo un progetto piuttosto utopico, preso a
prestito dal servizio di sussistenza degli eserciti in tempo di guerra:
la trasformazione in tempo di pace del servizio militare di leva in
servizio civile obbligatorio per tutti i giovani di entrambi i sessi,
organizzati in un "esercito del lavoro" da destinare alla produzione dei
beni di consumo primari. Alla scuola (gratuita per tutti e in tutti i
gradi) ed al servizio sanitario pubblico si sarebbe così aggiunta la
fornitura gratuita a tutti i richiedenti di alloggi popolari, vitto in
ristoranti pubblici, vestiario standardizzato. Rossi avvertiva i rischi
di "collettivizzazione" che il suo progetto comportava. E in suoi
scritti successivi l'idea non appare più.
Ma vale la pena di rileggerlo, per vedere a quali dettagli giungesse il
suo progetto, e a quale concretezza arrivasse un'utopia coltivata negli
anni più bui del Novecento. E per verificare che siamo ancora sul piede
di partenza. Prima che l'utopia perisca. Mentre vengono garantiti i
"colpevoli".