La Corte Costituzionale ha rigettato il conflitto di attribuzioni pretestuoso e mosso dalle solite e note finalità, quelle di sempre, intentato dai giureconsulti di Arcore. La decisione è arrivata dopo una girandola di pressioni, avvertimenti e infine minacce da parte di rappresentanti delle istituzioni alla Consulta, fino alla deliberazione in camera di consiglio. Nelle ore della decisione l’ex ministro Gasparri la voce più rappresentativa della resistenza al “sopruso inaccettabile” ha evocato con orgoglio l’Aventino nell’ipotesi che Berlusconi sia condannato in via definitiva dopo lo stop della Consulta.
Occuparsi di quello che ha minacciato l’attuale vice presidente del Senato Maurizio Gasparri e cioè le dimissioni in massa degli eletti del Pdl per le conseguenze ipotizzabili a seguito del rigetto di un conflitto pretestuoso “gonfiato a dismisura”, come è stato notato da prestigiosi giuristi, è poco esaltante se non decisamente deprimente, tenuto conto della situazione in cui versa il paese.
Eppure se siamo in questa situazione miserevole lo dobbiamo in primis a chi ha dominato il paese per un ventennio, anche quando non era al governo per compiacenza della cosiddetta opposizione, e sta continuando a dominarlo grazie alle larghe intese con l’eterno copione dello statista-combattente pro domo sua.
All’opinione pubblica è stato prospettato da giorni in buona o mala fede, fate voi le proporzioni, come una sorta di litania che questa sentenza della Corte Costituzionale avrebbe determinato in un sol colpo la sorte dei processi di Berlusconi, la vita del governo, il futuro politico dei prossimi mesi. Si capisce, al di là delle intenzioni, quale sia stato il livello di pressione politico- mediatica esercitato sull’organo di massima garanzia costituzionale, senza contare i tentativi di condizionamento diretto o indiretto dietro le quinte.
Quello che non è stato detto con sufficiente chiarezza è che quando nel 2011 la Consulta decise “ la parziale” incostituzionalità della legge sul legittimo impedimento stabilì anche che il beneficiario del medesimo deve indicare “un preciso e puntuale impegno” tale da determinare “un impedimento asoluto” e che è nel potere del giudice “valutare caso per caso”. Nel nostro caso, tanto per cambiare, Silvio Berlusconi, dopo aver concordato un calendario processuale ritagliato sulle sue esigenze ha convocato nel giorno dell’udienza precedentemente calendarizzata un consiglio dei ministri per varare nientepopodimeno che il pacchetto anticorruzione. Anzi come è specificato nel dispositivo della sentenza dai giudici costituzionali Berlusconi decise di far slittare il CDM dalla data originaria del 24 febbraio al giorno dell’udienza e cioè il primo marzo, senza dare spiegazioni. Forse perché erano superflue.
Come è noto Berlusconi è stato condannato in secondo grado nel processo Mediaset per frode fiscale a 4 anni di reclusione e a 5 di interdizione dai pubblici uffici quale dominus assoluto dell’operazione finalizzata a gonfiare i diritti Tv per creare fondi neri.
Ora la condanna per diventare definitiva attende solo il vaglio della Cassazione e la sentenza dovrebbe arrivare in autunno scongiurando per una volta almeno il rischio della prescrizione che scatta solo nel 2014.
La decisione è perciò importante perché ha evitato che ancora una volta grazie ad un regime di prescrizione unico al mondo fosse scritta un’altra pagina di impunità legale a favore di un soggetto che, tra l’altro, prima di essere passibile di interdizione è da sempre ineleggibile. Ma non è stato corretto né opportuno collegare la decisione della Consulta ad “un clima generale” sui processi in corso a Berlusconi che sono numerosi e per reati gravissimi come la concussione e la compravendita di senatori.
Il conflitto di attribuzioni è stato rigettato perché era macroscopicamente infondato e naturalmente l’interessato, i suoi legali, i suoi parlamentari scudi-umani ed i giornalisti al seguito dentro e fuori le testate di famiglia lo sapevano da sempre.
L’enfatizzazione, la confusione ed il surriscaldamento del clima attorno alla pronuncia della Consulta, come se si trattasse di un’ordalia, sono state solo il tentativo maldestro di supportare la crociata antitoghe da campagna elettorale permanente, anche per compattare “le diverse anime” pidielline.
Dai falchi alla Gasparri che minacciano “le dimissioni di massa” contro “l’odioso sopruso” di una sentenza di condanna definitiva, alle “colombe” in stile Carfagna, contraria all’Aventino, ma molto sollecita ad invitare ad ribellione “dieci milioni di elettori indignati” per l’accanimento anti-silvio.