Il governo ha appena depenalizzato l’abuso della credulità popolare. Subito dopo, sentendosi al sicuro, il Pd ha lanciato su Repubblica.it una campagna pubblicitaria per il Sì al referendum costituzionale (che, fra l’altro, non è stato ancora fissato e non può essere richiesto dal governo né dal Pd, ma dalle opposizioni). Cioè ha prelevato un po’ di soldi pubblici incassati abusivamente (la legge Letta 2013 prevede “rimborsi” in cambio di bilanci certificati, ma i partiti si sono autocondonati per arraffarli anche senza) e li ha bonificati a un giornale amico per fare propaganda alla schiforma Boschi-Verdini. Per giunta l’autospot – dal comico titolo “Un’Italia più semplice e più forte” – è pieno di bugie e castronerie tipiche della pubblicità ingannevole. E andrebbe proibito dall’Antitrust.
1. “Fine del bicameralismo paritario”. Su questo, checché se ne dica, erano d’accordo tutti, anche i giuristi del No spacciati per “conservatori”. Ma la “riforma” mantiene il bicameralismo paritario per una serie di leggi, e in forme così farraginose da far dire a Gianluigi Pellegrino: “Si passa dal bicameralismo perfetto al bicameralismo confuso”.
2. “Iter legislativo semplificato”, “tempi certi e ridotti”, “meno decreti”. Tutto falso. Siccome il Senato continuerà a votare le leggi su alcune materie fondamentali (costituzionali, enti locali, trattati internazionali ecc.), non c’è alcuna certezza sui tempi e sui modi di approvazione, né tantomeno sul numero dei decreti. Oggi l’iter è unico e semplicissimo: le leggi devono passare uguali alla Camera e al Senato. La “riforma” prevede ben 12 diversi sistemi per approvarle. Ed essendo scritta in un idioma malcerto e incomprensibile, innescherà miriadi di conflitti di competenze fra le due Camere, e fra esse e gli enti territoriali. Un iter molto più complicato: altro che semplificazione.
3. “Il nuovo Senato sarà composto da 100 senatori (contro i 315 attuali), di cui 95 eletti e 5 nominati” dal Colle. I 95 senatori “eletti” non saranno affatto “eletti”, come confessa lo stesso Pd alla riga seguente: saranno “votati dai consiglieri regionali e provinciali tra i consiglieri stessi e 21 tra i sindaci”. Cioè nominati dalle Regioni, in barba all’art. 1 della Costituzione (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”). Cade persino il comma-bufala, spacciato dalla sinistra Pd per un gran trionfo sul Senato elettivo, del “listino” per far scegliere dai cittadini i futuri consiglieri-senatori: non se ne parla più.
4. “I 100 senatori non avranno indennità”. Ma i senatori saranno sindaci e consiglieri regionali, con rispettive indennità, e non avranno quella aggiuntiva perché quello al Senato sarà un dopolavoro part time. Ma, siccome arriveranno a Roma da tutta Italia, avranno rimborsi per trasferte, vitto e alloggio, che si mangeranno parte del modesto risparmio ricavato dal taglio di 215 poltrone e 315 stipendi. La propaganda “anti-casta” è una truffa: il Senato costa oltre 500 milioni l’anno non tanto per gli stipendi e i servizi collegati (200 milioni), ma per la macchina di Palazzo Madama (300 milioni), che ora conterà meno ma continuerà a costare. Per abbattere davvero i costi del Parlamento fino a un quarto, bastava dimezzare il numero dei senatori e dei deputati (da 945 a 470) per mantenere un equilibrio fra i due rami; e dimezzare pure gli stipendi (ogni parlamentare costa oltre mezzo milione all’anno). O cancellare il Senato tout court, anziché mantenerlo con minori poteri e con spese ancora esorbitanti rispetto al suo peso (i 100 senatori non conteranno più nulla nelle votazioni in seduta comune per il capo dello Stato e i membri del Csm, che saranno esclusiva della Camera, cioè della mega-maggioranza del premier-padrone uscita dall’Italicum).
5. “Maggiore autonomia per le Regioni coi conti a posto, mentre in caso di grave dissesto finanziario Regioni ed enti locali potranno essere commissariati dallo Stato”. Già oggi lo Stato può intervenire contro gli enti falliti, senza toccare la Costituzione.
6. “Cnel e Provincie vengono definitivamente cancellati”. A parte il fatto che si scrive “Province”, queste non sono affatto abolite: è abolita la loro elettività. I 986 consiglieri e presidenti delle città metropolitane vengono nominati dai consigli comunali. Intanto gli oltre 20 mila dipendenti delle Province sono ancora in carico alla PA, senza sapere che fare, e nessuno si occupa più della manutenzione di scuole e strade provinciali.
7. “Le proposte di legge di iniziativa popolare dovranno essere presentate da 150.000 elettori”, poi una legge ordinaria garantirà “forme e tempi certi di discussione”. Ma l’ unica certezza è che oggi per una legge popolare bastano 50mila firme, mentre domani ne occorrerà il triplo. Una mazzata a una delle poche forme di democrazia diretta.
8. “Inserito nell’art. 97 della Costituzione l’obbligo di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell’amministrazione”. Ma non c’era bisogno di alcuna riforma: quei principi sono già sanciti dall’art. 97 della Carta del 1948.
9. “Modificata la modalità di nomina dei giudici costituzionali: tre saranno eletti dalla Camera e due dal Senato”. Vero, ma c’è poco da esultare: con quale legittimazione 95 nominati parttime dalle Regioni eleggeranno due giudici costituzionali?
10. “Eliminati i rimborsi pubblici ai gruppi regionali e stabilito un tetto agli stipendi di presidenti e consiglieri”. Giusto, ma la Costituzione non c’entra: basta una legge ordinaria. Questi magliari si vendono la fontana di Trevi come se fosse roba loro.