Per chi ancora si domandasse come mai Renzi e B., dopo una lunga relazione clandestina, si apprestano a convolare a giuste nozze nella prossima legislatura, giunge a proposito il “ddl penale” approvato dalla Camera col solito ricatto della fiducia. Una salama da sugo con 95 commi insaccati in un unico articolo sugli argomenti più disparati che, se portasse la firma di B., avrebbe scatenato rivolte in Parlamento, girotondi in piazza, alti lai dalle federazioni della stampa e degli editori, campagne di Repubblica a base di post-it gialli e bavagli sul volto di artisti e intellettuali. Invece è targata Pd, e tutti zitti. Ma, oltre alle non-reazioni dell’intellighentija, c’è un’altra differenza fra le porcate di centrosinistra e quelle di centrodestra. B. scriveva nero su bianco che non lo dovevano processare, che i suoi reati non lo erano più e che i suoi processi erano già prescritti, per cui di solito la Consulta respingeva tutto al mittente. Il Pd è più astuto: nasconde le peggiori boiate dietro appositi specchietti per le allodole (cioè per gli elettori), fingendo di difendere la legalità per devastarla meglio. Sono le famose “leggi-spaventapasseri”: da lontano spaventano i delinquenti, da vicino li fanno ridere.
Prescrizione. La soluzione è stranota: farla decorrere non da quando il reato viene commesso, ma da quando viene scoperto, per evitare che scatti già durante le indagini (come nel 70% dei casi); e interromperla definitivamente al rinvio a giudizio o alla condanna di primo grado, per evitare che il colpevole la faccia franca durante il processo e levare agli imputati e agli avvocati ogni interesse ad allungare i tempi con ricorsi infondati e cavilli pretestuosi. Invece no. Si sospende la prescrizione per 18 mesi dopo la condanna di primo grado (dopo l’assoluzione no, come se fosse ribaltabile in appello) e per altri 18 dopo quella di secondo. Una barzelletta. Non solo: se il pm non ce la fa a chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione entro 3 mesi dalla fine dell’indagine, la Procura generale deve avocare il fascicolo. Pare una norma per accelerare, invece serve a rallentare: il fascicolo passa dall’ufficio del pm a quello del pg, che di solito è ancor più oberato del pm (a Roma, 23 pg che non conoscono gli atti dovranno fare il lavoro che non riescono a smaltire 100 pm): così sarà ancor più probabile che il processo si prescriva.
Notifiche. Gran parte dei tempi morti dipendono dalle notifiche fatte a mano dagli ufficiali giudiziari al domicilio delle parti, con molti imputati che si divertono a non farsi trovare in casa.
Nell’èra di Internet, sarebbe ora di passare alle notifiche telematiche, sull’e-mail degli avvocati difensori. Ma così avremmo processi più rapidi e meno prescrizioni: non sia mai.
Corruzione. Su richiesta dell’Ocse, per quel reato la prescrizione è allungata. Ma intanto si rende ancor più difficile scoprirlo, per cui il problema della prescrizione non si porrà proprio, visto il ridicolo numero di processi per corruzione che si riusciranno a celebrare. Il Trojan, l’intrusore informatico che s’intrufola negli i-phone, nei tablet e nei pc, sarà utilizzabile soltanto per mafia e terrorismo, non di corruzione, concussione, peculato, truffa ecc. I magistrati chiedevano premi speciali per chi denuncia e collabora, e infiltrati, agenti provocatori e sotto copertura per fare il test di integrità ai pubblici amministratori. Ma l’idea ha comprensibilmente seminato il panico a palazzo: i politici più corrotti del mondo non sono mica matti.
Intercettazioni. Avevano garantito che non avrebbero posto limiti ai poteri della magistratura di utilizzare l’unico strumento rimasto per penetrare nel sancta sanctorum delle nuove Tangentopoli, ma anche questa era una balla: il Parlamento delega in bianco il governo perché imponga ai giudici “prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni”. Cioè sarà il governo a decidere quali prove potranno usare o meno per arrestare i ladri.
Bavaglio. Quod non fecerunt berluscones, fecerunt renzini. Passa la norma, più volte tentata invano da B., di far distruggere o nascondere nella cassaforte delle Procure le intercettazioni penalmente irrilevanti, ma eticamente e politicamente magari rilevantissime. Così i giornalisti e dunque i cittadini non potranno più conoscerle (con tanti saluti al garantismo e ai diritti degli avvocati difensori e di parte civile, che potranno al massimo leggerle, ma non fotocopiarle). Dicevano di ispirarsi alle circolari di autoregolamentazione, già molto discutibili, di alcune Procure: altra balla. Le circolari parlano di espungere dagli atti depositati e non più segreti quelli “manifestamente irrilevanti e non pertinenti” alle accuse penali, mentre una sapiente manina ha cancellato dal ddl l’avverbio “manifestamente”: così il concetto di irrilevanza e impertinenza sarà così generico che i pm, temendo punizioni, escluderanno anche gli atti che aiutano a inquadrare il contesto del delitto. Così sarà vietato pubblicare conversazioni di grande interesse pubblico: come quelle dei due imprenditori che sghignazzano la notte del terremoto dell’Aquila, tra B. e Saccà sulle attricette raccomandate a Raifiction, fra B. e un commissario Agcom su come far chiudere Annozero, tra Fassino e Consorte sulla scalata Unipol-Bnl, tra Moggi e i giornalisti al suo servizio, e naturalmente fra Renzi e babbo Tiziano su Consip. Naturalmente noi del Fatto, se riusciremo ancora a procurarcele, continueremo a pubblicare tutte le intercettazioni rilevanti per l’opinione pubblica, anche a rischio di farci processare e condannare. Si chiama obiezione di coscienza.