Effetto Brexit sul referendum costituzionale previsto in Italia per il prossimo autunno. Da una rilevazione condotta da Scenari politici per l’Huffington Post tra il 23 e il 24 giugno emerge infatti che il 54% degli intervistati intende votare contro le riforme contenute nel ddl che porta la firma del ministro Maria Elena Boschi mentre il 46% è per il no. Solo il 48% del campione di 1.400 persone ha detto però di essere sicuro che andrà alle urne, mentre il 23% è indeciso e il 29% sicuramente si asterrà.
Il 49% ritiene che sia “necessario focalizzarsi su altre tematiche più urgenti“, a fronte di un 28% convinto che la riforma che archivierebbe il bicameralismo perfetto e a cui il premier Matteo Renzi ha più volte annunciato di voler legare il proprio destino politico sia “una priorità per l’Italia”. Il 23% ammette di “non conoscere bene i contenuti”, che del resto finora non sono stati al centro della campagna di comunicazione del presidente del Consiglio.
Poche sorprese per quanto riguarda la ripartizione di sì e no tra sostenitori dei diversi partiti: stando al sondaggio di Scenari politici, tra gli elettori del Pd il 78% voterà per il sì e il 22% per il No mentre l’85% degli elettori M5s dirà No e soltanto il 15% sosterrà le riforme.
La direzione Pd convocata per venerdì 24, durante la quale la minoranza interna intendeva pressare il premier con la richiesta di modificare l’Italicum mettendolo alle strette alla luce dei risultati delle amministrative, è stata come è noto rimandata dopo l’esito inatteso del referendum inglese. E nei giorni scorsi sono circolate indiscrezioni sull’intenzione di Renzi di rinviare la consultazione di qualche mese proprio nel timore che il successo dell’antieuropeismo possa “contagiare” l’Italia e favorire il fronte del no. Domenica sera, al Tg1, Renzi ha sostenuto però che la Brexit non avrà conseguenze sul referendum perché “è un referendum in cui chi vota “sì” riduce il numero dei parlamentari, gli sprechi delle Regioni, gli stipendi ai consiglieri regionali e, finalmente, riduce il numero dei politici dando allo Stato una conformazione più semplice”.
Intervistato da La Stampa venerdì, il segretario Pd si era limitato a dire che “avrà la tempistica prevista dalla Cassazione. Il governo ha però due mesi, dalla pronuncia della Suprema Corte, per approvare il decreto di indizione, e le urne si possono aprire tra 50 e 70 giorni dopo il varo del decreto.