Non era “Scherzi a parte”. Era proprio “la Leopolda”, il marchio di
fabbrica, il brand, la maison, insomma il format urbi et orbi con cui
Renzi ogni anno magnifica se stesso in una sbrodola corriva di italico
conformismo, cortigiani baci della pantofola e Te Deum alla finanza.
Poiché però quest’anno il giornalismo unico e prono, che tanto piace al
premier, oltre alla tradizionale eccezione di “Il Fatto Quotidiano” ha
registrato su più testate spazi prioritari dedicati a quella
pinzillacchera dei risparmiatori truffati e rovinati (uno già indotto al
suicidio), anziché la staffetta d’ordinanza di osanna e peana, Renzi ha
ritenuto improcrastinabile colpirne uno per educarne cento con la gogna
del simpatico gioco “i dieci titoli più inappropriati”: per i vincitori
non mancheranno ricchi premi e cotillon, future poltrone, stiano pure
sereni.
Ora,
quando Renzi è in famiglia per la tombolata o in intimità con i/le
sodali del suo giglio magico per il mercante in fiera o monopoli,
padronissimo di sostituirvi giochi che alla combriccola paiano più
sganascianti. Ma nella vita pubblica, l’osceno spettacolo di Firenze si
chiama aggressione alla libertà di stampa, sputi e schiaffi contro
l’articolo 21 della Costituzione, e un premier che in tali pratiche si
ingaglioffisca deve andarsene subito. Sulla libertà di stampa, come
sugli altri diritti fondamentali della Costituzione, non è lecito
scherzare. Perché per minimizzare la gravità di quanto operato dal
premier contro la libertà di stampa si è costretti a istituire paragoni
con la Turchia di Erdogan, dove i giornalisti finiscono in galera, e la
Russia di Putin, dove finiscono anche ammazzati, e allora effettivamente
sì, si può sostenere che in fondo quella di Renzi è una marachella,
birichinata, birbanteria, ragazzata.
Solo che Renzi non è un
ragazzino in fregola di bullismo, è il capo del governo, e lo standard
con cui misurarlo non possono essere Erdogan e Putin. È immaginabile un
Obama, una Merkel, un Hollande, un Cameron che si sbellicano a far
insolentire dagli elettori un giornale che li critica? E per scendere
molto più in basso, cosa sarebbe successo se fosse stato Berlusconi a
sollazzarsi con il giochino dei “titoli inappropriati”? O addirittura:
come finirebbero le chance della carriera politica di Marine Le Pen, se
si permettesse?
E
allora, perché si continua a tollerare Renzi al governo, e la Boschi, e
Alfano, e compagnia cantando? Davvero hanno passato il segno.
Ecco
perché è necessario, ineludibile, improcrastinabile, che chi ha voce
pubblica dica: BASTA! Renzi a casa! Renzi si deve dimettere!
Noi,
che in fatto di ascolto pubblico contiamo pressoché nulla, lo facciamo
immediatamente, e invitiamo tutti i lettori a dire “basta!” insieme a
noi. Ma è indispensabile che chi gode di ascolto vero e dunque conta
nell’opinione pubblica (devo fare i nomi? Li sanno tutti), le dimissioni
di Renzi le chieda con tutta la forza e il peso massimo della sua voce,
facendo da catalizzatore a centinaia di migliaia, a milioni di
cittadini, altrimenti le sue critiche rimarranno un elegante esercizio
con cui salvarsi l’anima.
La reazione a catena del caso Assange
Barbara Spinelli - Il fatto Quotidiano
La via della seta: una trappola o un’opportunità?
Alfonso Gianni
Lettera aperta al segretario generale del PD Nicola Zingaretti
Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Domenico Gallo