I germi patogeni seminati dalla “cultura” istituzionale di Arcore stanno attecchendo nel campo degli (ex) avversari.
Lo
dimostrano le idee, anzi le suggestioni politiche agitate da Matteo
Renzi nella Convenzione della Leopolda, che lo ha candidato alla guida
del partito ed – in prospettiva – del Governo.
C’è una fortissima
convergenza fra la proposta politica di Renzi e la “cultura” di
Berlusconi su due temi di grande rilievo istituzionale: il sistema
elettorale e le garanzie della giurisdizione.
Sistema elettorale
Dopo
averci spiegato che non accetterà mai il ritorno al proporzionale,
Renzi dichiara: “Porcellum o porcellinum? Io dico che una legge
elettorale che funziona è quella dei sindaci che abbia tre
caratteristiche: alla fine del voto sai chi ha vinto, quello che ha
vinto deve avere i numeri in parlamento per governare e quello che
governa è per cinque anni responsabile. Mai più larghe intese".
Da questo concentrato di banalità bisogna distillare il modello istituzionale che sta in testa al grande riformatore.
Qui ritorna la concezione velenosa che il sistema politico-parlamentare non deve essere rappresentativo.
Le
elezioni politiche non servono per selezionare una rappresentanza che
faccia filtrare nelle istituzioni i bisogni, le domande, le aspettative
di tutte le “parti” di cui si compone la società, per consentire ai
cittadini, attraverso i loro rappresentanti, di concorrere a determinare
la politica nazionale, come prevede l’art. 49 della Costituzione.
Il
corpo elettorale non deve eleggere i propri rappresentanti, ma deve
scegliere “quello che governa”. Il sistema elettorale deve consentire a
“quello che ha vinto” di avere i numeri in parlamento per governare.
Questo significa che il sistema elettorale deve imporre al sistema
politico la camicia di forza di un bipolarismo forzato, manipolando la
volontà degli elettori in modo tale da pervenire sempre alla creazione
di una maggioranza parlamentare a favore di questo o quel partito, a
prescindere dalla volontà espressa dal corpo elettorale.
In
fondo questa è la fotografia del funzionamento del “porcellum”: un
sistema elettorale rivolto a garantire sempre la formazione di una
maggioranza di governo, a prescindere dalla rappresentatività. Basti
pensare che nelle ultime elezioni alla Camera dei Deputati il Partito
Democratico con 8.644.523 voti ha ottenuto 292 seggi, mentre il
Movimento 5 stelle, pur avendo riportato un numero maggiore di consensi
popolari (8.689.458) ha ottenuto solo 108 seggi.
Dal punto di
vista dei riformatori alla Renzi il limite del porcellum non è
costituito dalla divaricazione fra i seggi conferiti e la volontà
espressa dagli elettori, bensì dal fatto che il porcellum fallisce lo
scopo a cui è preordinato in quanto non riesce ad assicurare
l’uniformità dei risultati fra Camera e Senato.
Le elezioni, quindi,
servono per l’investitura di un governo e di un Capo del Governo che
non può più essere cambiato per la durata della legislatura: “quello che
governa è per cinque anni responsabile”.
In che cosa si
differenzia il pensiero di Renzi da quello di Berlusconi che, nella
passata legislatura, ha rivendicato di essere stato eletto direttamente
dal popolo con il mandato di governare per 5 anni ed ha accusato di
tradimento del mandato popolare quei parlamentari che gli hanno voltato
le spalle, negando l’appoggio al suo Governo?
Non si tratta forse
della riproposizione, con altre parole, del modello di Arcore, del Capo
politico che viene incoronato dal voto popolare con la maggioranza
vincolata a sostenere il suo governo per rispetto del voto popolare?
Giustizia
Secondo
Renzi la storia di Silvio Scaglia (che ha scontato tre mesi di
carcerazione preventiva e nove mesi di arresti domiciliari, venendo
assolto all’esito del giudizio di primo grado) dimostra che la riforma
della giustizia è ineludibile. Renzi si chiede come può esistere uno
schieramento democratico che non senta come una vergogna che un
cittadino possa essere arrestato senza avere la possibilità di
difendersi. Naturalmente Renzi non spiega in che cosa sia consistita
l’impossibilità di difendersi per il cittadino Scaglia e si guarda bene
dal dire cosa intende per “riforma della giustizia”.
Proprio per
la vaghezza di questi concetti, su questo terreno risuonano sinistre le
assonanze fra il pensiero di Renzi e gli obiettivi del gruppo di potere
legato a Berlusconi che usa il medesimo linguaggio comunicativo. Basti
ricordare, da ultimo, che dopo che si è diffusa la notizia del rinvio a
giudizio di Silvio Berlusconi a Napoli per la compravendita dei
senatori, Mara Carfagna ha commentato la notizia, concludendo lapidaria:
“la riforma della giustizia è ineludibile" e la sua collega Renata
Polverini ha rincarato la dose, osservando che: “è sempre più evidente
come la riforma della giustizia non possa essere ulteriormente
rimandata”.
Qualcuno almeno dovrebbe spiegarci in cosa differisce
l’ “ineludibile riforma della giustizia” invocata da Berlusconi
dall’“ineludibile riforma della giustizia” invocata a Matteo Renzi.
Siamo curiosi di saperlo.
Può darsi che il regno di Silvio Berlusconi, dopo venti anni di dominio sulla scena politica, si stia avviando al tramonto, ma questo non vuol dire che stiamo uscendo dal berlusconismo.