Riforma, il senato può ancora rimediare

di Felice Besostri - Il Manifesto - 28/07/2015

L’attuale ipo­tesi di riforma costi­tu­zio­nale pro­po­sta dal governo Renzi impatta, fra le altre cose, con pro­blemi di pro­ce­dura delle modi­fi­che costi­tu­zio­nali che hanno una sto­ria, che è utile richia­mare. È un fatto che man mano che ci si allon­tanò dall’approvazione della Costi­tu­zione, le pre­vi­sioni dell’articolo 138 Costi­tu­zione (che rego­lano appunto la pro­ce­dura per le modi­fi­che costi­tu­zio­nali) furono tra­dite dalle prassi e nei rego­la­menti par­la­men­tari. Il pro­blema giu­ri­dico si sentì meno nell’epoca del pro­por­zio­nale, quando la con­ven­zione costi­tu­zio­nale era quella di non pro­ce­dere a revi­sione senza disporre pre­ven­ti­va­mente dei due terzi nella seconda deli­be­ra­zione di cia­scuna camera. Come dire che all’epoca c’era una atten­zione al pro­blema poli­tico del con­senso demo­cra­tico e par­la­men­tare alle modi­fi­che costi­tu­zio­nali, che col tempo è andato smarrendosi.

Oggi — in un qua­dro in cui i sistemi dispro­por­zio­nali in vigore pro­du­cono strette mag­gio­ranze par­la­men­tari che si riten­gono auto­riz­zate ad imporre alte­ra­zioni sostan­ziali all’equilibrio dei poteri imma­gi­nato dai padri Costi­tuenti — appare assai oppor­tuno risco­prire la ragione della pro­ce­dura aggra­vata (cioè più com­plessa rispetto a quella delle leggi ordi­na­rie) pre­vi­sta dall’articolo 138. Secondo que­sto infatti, non si tratta di una mera ripe­ti­zione del voto di appro­va­zione in blocco (con la mag­gio­ranza asso­luta) di un testo già lavo­rato defi­ni­ti­va­mente con la pro­ce­dura ordi­na­ria. Una inter­pre­ta­zione testuale e logica porta infatti a con­clu­dere che la costi­tu­zione esclude le troppo sbri­ga­tive norme pre­vi­ste per la ordi­na­ria navette; in par­ti­co­lare esclude quelle che ammet­tono la pos­si­bi­lità di modi­fi­care il testo in discus­sione solo nelle parti che non abbiano già avuto una appro­va­zione eguale nelle due camere. Al con­tra­rio, essen­dosi davanti pro­prio alla neces­sità di quat­tro con­se­cu­tive appro­va­zioni dell’identico testo, per­sino distan­ziate nel tempo, la pro­ce­dura ordi­na­ria (la cui fina­lità è quella di una rapida appro­va­zione) è intrin­se­ca­mente incon­gruente e lesiva dell’aggravamento pre­vi­sto per le sole modi­fi­che costi­tu­zio­nali, delle quali fini­sce per lo svuo­tare il signi­fi­cato normativo.

Nella terza legi­sla­tura venne invece intro­dotta, inno­vando nei rego­la­menti dei due rami e cal­pe­stando la Costi­tu­zione, la pre­clu­sione a qua­lun­que atti­vità emen­da­tiva sulle parti di un testo costi­tu­zio­nale appro­vate in maniera con­forme. Secondo le giunte del rego­la­mento delle due camere ciò non avrebbe com­por­tato «effetti irri­me­dia­bili»: se una camera ritiene di non potere appro­vare il dise­gno di legge nel testo già adot­tato in prima let­tura, essa può sem­pre respin­gerlo. La navetta è diven­tata così una cami­cia di Nesso per il Revi­sore costi­tu­zio­nale.
Il punto è che era pro­gres­si­va­mente cam­biata la qua­lità della classe diri­gente. Le forze poli­ti­che sen­ti­vano ormai il biso­gno di assi­cu­rarsi i due terzi non più pre­ven­ti­va­mente, facendo «nascere bene» il testo nelle con­cer­ta­zioni inter­par­ti­ti­che, ma in corso d’opera, nego­ziando diret­ta­mente coi par­la­men­tari chia­mati a votare il testo (così da assi­cu­rarsi i due terzi neces­sari ad evi­tare un divi­sivo refe­ren­dum). Nel dram­ma­tico 1993, Spa­do­lini a giu­gno non esitò un istante a vio­lare la navetta pur di «riag­giu­stare» il testo sull’articolo 68, invia­to­gli dalla camera nella parte oggetto di mera sop­pres­sione. Lo stesso Napo­li­tano che nel mag­gio aveva dichia­rato inam­mis­si­bile un emen­da­mento aggiun­tivo di Gerardo Bianco, si trovò nel luglio a dichia­rare ammis­si­bile l’aggiunta appro­vata dal senato.

Il testo attual­mente in discus­sione con­tiene molte dispo­si­zioni ete­ro­ge­nee e tali da inve­stire parti diverse della Costi­tu­zione. L’alternativa, che sarà la stessa dell’eventuale refe­ren­dum con­fer­ma­tivo, non può essere tra pren­dere e lasciare. Addi­rit­tura la via di fuga sarebbe un «dai» al posto di un «nei»: la cruna di un ago attra­verso la quale può pas­sare solo il cam­mello del governo. Tanto più che a reg­gere il gioco, c’è chi nel 2004 con­di­vise la scelta della pre­si­denza di ammet­tere al voto emen­da­menti del governo su testi iden­ti­ca­mente appro­vati dalle due camere. Se la pre­si­denza del senato vuole allon­ta­nare da sé il sospetto di par­zia­lità a favore del governo ria­pra la navetta per tutti: se ne gio­verà la qua­lità del testo, la sua soste­ni­bi­lità poli­tica e, pro­ba­bil­mente, anche quella refe­ren­da­ria. Per­ché il 138 — anche in que­sto — va letto nel suo verso giu­sto: il popolo è chia­mato a con­di­vi­dere lo spi­rito costi­tuente delle camere, non a con­sa­crare l’appello ple­bi­sci­ta­rio di un capo.

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