Si è tenuta a Roma un’assemblea, affollata e partecipata, dei comitati referendari, per il lancio della campagna per la raccolta delle firme. Un passaggio importante, soprattutto per aver visto insieme i promotori dei referendum istituzionali e di quelli sociali. Perché un forte iniziativa referendaria? Rodotà ha scritto (su Repubblica) di come le nostre istituzioni siano diventate indisponibili all’ascolto, traendo anche da questo la spiegazione del drammatico calo di fiducia degli italiani. Ha ragione. Perché e come fidarsi di istituzioni indifferenti?
Il sostanziale dissolversi dei partiti, e l’emarginazione dei
sindacati da parte del governo, unitamente alla caduta di
rappresentatività delle assemblee elettive, hanno azzerato i sensori che
rendevano le istituzioni aperte e percettive rispetto agli orientamenti
del paese. Ed ecco l’indifferenza verso manifestazioni, scioperi,
petizioni, leggi di iniziativa popolare, per quanto fortemente
sostenute. Ecco l’illusione che l’arte del governare sia decisione e
comando piuttosto che confronto e sintesi. Ecco la caricatura di una
democrazia in cui i cittadini siano usi a obbedir tacendo. E dunque il
referendum rimane l’unico strumento attraverso il quale il popolo
sovrano possa riguadagnare il ruolo garantito dalla Costituzione.
Proprio per questo il governo teme i referendum. Ha lasciato in piedi
solo uno dei referendum No-Triv delle regioni. Per questo ha scelto la
data del 17 aprile, nella speranza di farlo fallire per mancato
raggiungimento del quorum. Lo stato maggiore del Pd attacca con il trito
argomento del costo, dimenticando che proprio il governo ha rifiutato
l’accorpamento con le amministrative che avrebbe evitato la spesa. E
altresì argomentando che con il Sì il popolo sovrano reca danno al
paese. Ma come può dirlo chi va ad approvare una nuova Costituzione
insieme al condannato Verdini, tassista di una nuova maggioranza?
Perché referendum istituzionali e sociali insieme? Non è una bulimia
referendaria, né una sommatoria per fare numero. È invece importante far
convergere nella battaglia referendaria mondi diversi, per dare il
segnale che una parte importante del paese chiede con forza un cambio di
rotta.
Per questo una stagione referendaria ad ampio spettro, che partirà
con il voto del 17 aprile e la raccolta delle firme, passerà per il
cruciale No alla riforma costituzionale in ottobre, e si concluderà nel
giorno in cui la metà più uno degli aventi diritto – questo è l’auspicio
– andrà a votare si ai referendum abrogativi delle leggi renziane.
D’altronde la connessione tra referendum istituzionali e sociali è nelle
cose. L’attuale degrado politico-istituzionale avviene con la
Costituzione vigente, prima della riforma. Questo dimostra che un No
alla riforma può certo evitare maggiori guai, ma non basta a tirarci
fuori dalla palude in cui siamo caduti.
Non si può non guardare anche alla legge elettorale. Se dovesse rimanere
in piedi il modello Italicum, ne verrebbe un parlamento non migliore –
anzi peggiore – di quello del Porcellum. Quanto resisterebbero i
risultati conseguiti dai referendum sociali in un tale parlamento?
L’esperienza dell’acqua pubblica insegna che il referendum può abbattere
una legge, ma non cancella l’indirizzo politico che la esprime, e che
può ripristinarla tradendo la volontà popolare. Cosi domani un
referendum vittorioso sulla cattiva scuola potrebbe essere azzerato da
una scuola peggiore. Solo i referendum istituzionali possono creare
condizioni in cui i risultati dei referendum sociali non siano
fatalmente effimeri.
Dobbiamo anche considerare che se vincesse sulla riforma della
Costituzione, Renzi vorrebbe probabilmente sfruttare il successo con uno
scioglimento anticipato e nuove elezioni, che gli consegnerebbero
istituzioni riformate e un parlamento addomesticato. Un potere
consolidato per la legislatura.
Se ciò accadesse, i referendum abrogativi slitterebbero al 2018. E di
per sé il passare del tempo non favorisce certo una battaglia
referendaria.
Per questo bisogna impegnarsi, da subito. Per la raccolta delle firme
sui quesiti referendari, e il voto del 17 aprile. Un voto che anche il
governo ritiene importante. Non chiede agli italiani di andare al mare
solo perché l’acqua è ancora troppo fredda.