Riforme, le false ragioni degli «intoccabili»

di Gianni Ferrara - 05/09/2015
Le decisioni prese non si possono cambiare, dice Renzi usando argomentazioni senza fondamento. E si nomina interprete della volontà popolare, cancellando però il referendum di nove anni fa.

È mira­bo­lante il tipo di dibat­tito che si svolge sulla riforma del Senato. Ad una valu­ta­zione for­te­mente e moti­va­ta­mente cri­tica sugli esiti deri­vanti dal testo in discus­sione, qua­lora fosse appro­vato tal quale, si risponde non discu­tendo tale valu­ta­zione, ma oppo­nen­dole pla­teali incon­gruità. Che vanno dalla disci­plina di par­tito, alla tenuta della mag­gio­ranza di governo, allo scio­gli­mento anti­ci­pato del Par­la­mento, il cui potere, peral­tro, non spetta al Pre­si­dente del Con­si­glio.
A que­ste mani­fe­sta­zioni di mera tra­co­tanza si aggiun­gono però, a difesa del dise­gno gover­na­tivo, due argo­men­ta­zioni che richie­dono spe­ci­fi­che repli­che. Una è quella della intan­gi­bi­lità fat­tuale delle deli­be­ra­zioni già adot­tate, intan­gi­bi­lità che deri­ve­rebbe dall’obbligo (non certo giu­ri­dico e non si sa di quale tipo) di riap­pro­varle così come sono per cogliere … l’irripetibile occa­sione sto­rica rap­pre­sen­tata da Mat­teo Renzi. L’altra è quella della volontà popo­lare che lo stesso Renzi inter­pre­te­rebbe, certo non per man­dato elet­tivo, visto che alle ele­zione del 2013 non era nean­che can­di­dato, quindi per cari­sma natu­rale o … divi­na­mente infuso.

La tesi della intan­gi­bi­lità fat­tuale sem­bre­rebbe basarsi sulla per­sua­sione che il dibat­tito tren­ten­nale sulle riforme isti­tu­zio­nali avrebbe da tempo pro­dotto un’amplissima con­cor­danza sui con­te­nuti di tali riforme. I dubbi sul voto a favore del dise­gno di legge da parte del Senato smen­ti­scono deci­sa­mente tale per­sua­sione. C’è di più. La pre­tesa intan­gi­bi­lità, se si fosse affer­mata o si affer­masse, si rivol­ge­rebbe con­tro il suo obiet­tivo. Per­ché, pri­vando di rile­vanza deter­mi­na­tiva la seconda delle deli­be­ra­zioni di cia­scuna Camera, dis­sol­ve­rebbe la ratio del pro­ce­di­mento. Ratio che impone, con la seconda delle due inter­val­late deli­be­ra­zioni, l’obbligo di rie­sa­mi­nare gli effetti siste­ma­tici del con­te­nuto della prima deli­be­ra­zione per accer­tarne la vir­tuo­sità, l’adeguatezza o la per­ver­sità. E, in que­ste due ultime ipo­tesi, se l’insufficiente o la depre­ca­bile effi­ca­cia della prima deli­be­ra­zione sia emen­da­bile inter­ve­nendo sul testo appro­vato o sia invece tale da imporre la reie­zione espressa o tacita del pro­getto di riforma. L’intangibilità fat­tuale, una volta accer­tata, ver­rebbe a con­fi­gu­rare l’incostituzionalità della legge di revi­sione per vizio in procedendo.

L’affermazione della cor­ri­spon­denza delle riforme isti­tu­zio­nali che Renzi sta impo­nendo alla volontà popo­lare è falsa. La volontà popo­lare, certa ed incon­tro­ver­ti­bile, fu mani­fe­stata dal corpo elet­to­rale col refe­ren­dum del 26 di giu­gno di 9 anni fa, quando la stra­grande mag­gio­ranza delle elet­trici e degli elet­tori respinse la legge costi­tu­zio­nale mirante all’instaurazione del «pre­mie­rato asso­luto».
Quando cioè, per la prima volta nella sto­ria delle costi­tu­zioni e degli stati, il popolo ita­liano volle ricon­fer­mare la Costi­tu­zione appro­vata 58 anni prima e, spe­ci­fi­ca­mente, la forma di governo che la qua­li­fi­cava, quella par­la­men­tare. La can­cel­la­zione di que­sta deci­sione del popolo sovrano dalla memo­ria della Nazione, que­sta sorta di abro­ga­zione tacita e ille­git­tima degli effetti di un refe­ren­dum costi­tu­zio­nale da chi e da quanti avreb­bero dovuto garan­tirli, non può negarne la cer­tezza sto­rica. Di quella deci­sione popo­lare ne va riven­di­cato invece il valore e la forza. E pro­prio a fronte dell’eversione legale che Renzi sta com­piendo, avendo ripro­po­sto e impo­sto il pre­mie­rato asso­luto a mezzo del sistema elet­to­rale, l’italicum.

La verità del suo dise­gno la abbiamo rive­lata più volte. È la tra­sfor­ma­zione in senso auto­ri­ta­rio del regime costi­tu­zio­nale. L’opposizione par­la­men­tare alla riforma del Senato mira a sca­vare l’ultima trin­cea per quel che resta del costi­tu­zio­na­li­smo in Ita­lia. L’approvazione del testo in discus­sione senza modi­fi­che sul mec­ca­ni­smo di com­po­si­zione del Senato, e senza reali con­tro­po­teri a quelli del pre­mier ridi­se­gnato come capo del governo dall’italicum, deter­mi­ne­rebbe l’inarrestabile deriva auto­ri­ta­ria della Repub­blica. La lotta al dise­gno di legge sul Senato è per­ciò lotta per le garan­zie costi­tu­zio­nali, lotta all’italicum. È in que­sta legge il gri­mal­dello che spa­lanca le porte all’autoritarismo. Non si tratta di temi e que­stioni reci­pro­ca­mente indif­fe­renti o indi­pen­denti. La com­po­si­zione di un organo costi­tu­zio­nale così come la tra­sfor­ma­zione dei voti in seggi si deli­be­rano mediante norme giu­ri­di­che che non sono mai soli­ta­rie. Esi­stono se, solo se ed in quanto ele­menti, parti di un sistema che col­lega cia­scuna di esse a tutte le altre e, solo se insieme, pos­sono disporre, isti­tuire, tute­lare, e obbli­gare secondo un prin­ci­pio etico-politico. Il diritto è sistema. È sistema ogni forma di governo con le sue com­po­nenti inde­fet­ti­bili tra cui quella che assi­cura la rap­pre­sen­tanza con una strut­tu­ra­zione uni­ta­ria o duale. Una dua­lità che si giu­sti­fica non sol­tanto se è diver­si­fi­cata la fonte della rap­pre­sen­tanza di cia­scuno i dei due rami del Par­la­mento ma se la loro distin­zione si pone come stru­mento di garan­zia dei prin­cipi dell’ordinamento.

Chi scrive ha soste­nuto in tempi lon­tani l’assenza di una base razio­nale che giu­sti­fi­casse il bica­me­ra­li­smo san­cito in Costi­tu­zione. Ebbe anche modo, nel 1985, di pro­porre una legge costi­tu­zio­nale che sosti­tuiva il mono­ca­me­ra­li­smo al bipo­la­ri­smo.
Si era in altra, enor­me­mente diversa sta­gione della sto­ria isti­tu­zio­nale ita­liana. I par­titi erano tali e di massa, non degra­dati a comi­tati elet­to­rali. Vigeva il sistema elet­to­rale pro­por­zio­nale che poneva all’interno stesso della rap­pre­sen­tanza i con­trap­pesi di garan­zia della demo­cra­zia poli­tica descritta e pre­scritta in Costi­tu­zione. Quella fun­zione di garan­zia che nel testo della riforma costi­tu­zio­nale in discus­sione manca del tutto.
Ad assu­merla potrebbe essere quindi un Senato eletto diret­ta­mente dal corpo elet­to­rale e prov­vi­sto dei mezzi ade­guati per eser­ci­tarla. Mezzi come la par­te­ci­pa­zione eguale alla legi­sla­zione in mate­ria di diritti e sull’ordinamento dello stato e come il ricorso diretto alla Corte costi­tu­zio­nale in caso di con­flitto con la Camera dei depu­tati su quelle mate­rie. Il bica­me­ra­li­smo ita­liano acqui­ste­rebbe così un fon­da­mento razionale.

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