Stefano Rodotà, ci aiuti a interpretare i depistaggi sulle unioni civili, così li ha definiti. Perché la maternità surrogata, vietata fin dal 2004, viene evocata per opporsi all’adozione dei figli del partner?
Perché si sta facendo una doppia operazione. Da una parte si cerca di impedire che si giunga a una legge dignitosa sulle unioni civili. Dall’altra parte, si fa riferimento a una pratica — la maternità surrogata — che ha in sé una contraddizione e un’ipocrisia. Si dice che dobbiamo tutelare i diritti dei bambini, ma in realtà la proposta è in palese contraddizione con l’interesse di un bambino che nasce e che viene messo nella condizione di non potere avere accesso alla famiglia in cui si muove. Si torna a una situazione anteriore al 1975 quando i figli nati fuori dal matrimonio erano considerati illegittimi. Mi pare che la civile cultura di quegli anni aveva tutt’altro modo di guardare a questi problemi.
Ritiene che l’ipotesi di sostituire la «stepchild adoption» con l’affido «rafforzato» sia una soluzione?
Queste proposte sono praticabili. In una legge ci puoi infilare molte cose, anche questa. Ma quali potrebbero essere gli effetti? Chi viene penalizzato è la bambina o il bambino, oggetti dell’intervento normativo. I bambini che vivono in una famiglia in cui i genitori hanno lo stesso sesso è discriminato, e posto in una condizione che gli impedisce una possibilità di vivere una vita familiare come gli altri coetanei. Quelli che dicono che si deve aspettare un periodo, e poi sarà il magistrato se concedere l’adozione, vogliono lasciare le persone in un limbo che creerà angoscia nei bambini e inciderà pesantemente sul libero sviluppo della personalità. Questo discorso considera i bambini come degli oggetti per soddisfare un’esigenza diversa dall’interesse del minore. Siamo al rovesciamento della realtà: in nome dell’interesse del minore si raggiunge il risultato opposto: lo si danneggia.
Come si spiega questo paradosso?
Deriva da un accanimento puramente ideologico contro il riconoscimento giuridico dell’unione tra persone dello stesso sesso. Si prende un argomento fortemente suggestivo, quello della doppia figura genitoriale, e lo si propone come una legge naturale. Questa argomentazione non ha nessuna consistenza scientifica, ma lo si propone per dimostrare che la genitorialità è un fatto biologico e non sociale. Tra l’altro, in questo discorso, la biologia non è una garanzia. L’«adozione co-parentale» [Stepchild adoption] ha già un pezzo di biologia dal momento che i bambini sono figli biologici di uno dei componenti della famiglia omogenitoriale. Le vittime di questa battaglia contro i diritti rischiano di essere i bambini.
Come si è arrivati a questo?
Perché si vogliono impedire le scelte della coppia. Questo è il punto fondamentale. Si vuole impedire la loro libertà legata al riconoscimento giuridico. Gli si vuole dare il meno possibile e si usa la legge per creare ostacoli di ogni tipo ai genitori e ai loro bambini. È un pericoloso meccanismo giuridico che potrebbe fare la fine della legge 40 sulla procreazione assistita. Sotto l’apparente volontà di proteggere lo sviluppo dei bambini si introducono elementi che lo rendono obiettivamente più difficile.
Un altro depistaggio, forse il più insidioso, è quello di chi si appella alla sentenza della Corte Costituzionale del 2010. Lei ha criticato questa sentenza nel suo ultimo libro Diritto d’amore. Per quale ragione?
Quella sentenza ha mantenuto la distinzione tra unioni civili e matrimonio. Sono due istituti che non vanno sovrapposti. Quella sentenza però è brutta perché ha cercato di fondare, con una lettura chiusa dell’articolo 29 della Costituzione, una costituzionalizzazione del matrimonio eterosessuale, indicando alle altre coppie soluzioni residuali che rendono ancora più visibili la discriminazione e negano loro i diritti fondamentali. Una decisione che contrasta con l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che distingue il diritto di sposarsi da quello di costituire una famiglia e legittima le unioni in forme diverse da quella matrimoniale. La possibilità di scelta è ampliata, svincolando l’unione – matrimoniale o no – dalla diversità di sesso. La sentenza antepone invece il codice civile alla Costituzione e riafferma il paradigma matrimonialistico tradizionale in maniera contraddittoria rispetto ai diritti della persona basati sull’uguaglianza e il riconoscimento della libera costruzione della personalità.
Sul voto Renzi lascerà «libertà di coscienza» ai suoi parlamentari. È un modo per lavarsene le mani?
Vuole approvare subito la legge, ma dipende da quale legge sarà approvata. Una che danneggia i diritti di chi vuole tutelare non è una buona legge. Il problema è che Renzi non ha creato il contesto politico. I parlamentari non sono stati messi in condizione di non subire la situazione sociale o le pressioni politiche. Pensavamo di esserci liberati dal guinzaglio di Ruini, adesso la politica rischia di farselo rimettere al collo.
Ci sono stati altri momenti in cui la politica è stata più coraggiosa?
Con l’aborto, ad esempio. A quel tempo i conflitti con i vescovi furono più drammatici. Ricordo Giovanni Leone, l’ex presidente della repubblica. Diede un contributo da giurista per fare una legge migliore possibile. E poi votò contro, da cattolico. Ne uscì una buona legge che poi è stata purtroppo stravolta dai tagli alle strutture e dall’obiezione di coscienza. Questo per dire che la politica italiana, in alcune situazioni, è stata capace di fare il suo mestiere.
Perché la società italiana è più avanti delle istituzioni?
Lo è dalla fine degli anni Sessanta. Certo, quella era un’altra epoca: il disgelo costituzionale, i movimenti sociali, il femminismo„ lo statuto dei lavoratori, il servizio sanitario nazionale o la legge Basaglia. La cultura che dava alla società la possibilità di esprimere tutto quello che sentiva e praticava. Allora c’era una politica in grado di reagire ai movimenti. Oggi non lo è. La discussione in atto al Senato è mortificante per l’intero paese. Meno male che c’è ancora una società in grado di reagire. Purtroppo oggi ci sono molte stanchezze che derivano dal timore che l’azione sociale non abbia un’interlocuzione politica. C’è disincanto e l’idea che nessuno risponda.
Dal 1992 è stata la magistratura a sostituire la politica in molti ambiti…
Per una ragione: rispetto alle urgenze sociali legate ai diritti il giudice si trova nella condizione di non potere delegare giustizia. Quando gli viene posto un tema in materia di diritti fondamentali, deve dare risposta, anche dicendo che non possono essere riconosciuti. Certo questa non è una buona conclusione: la politica ha perso rappresentatività. Sembra che i diritti possano essere fatti valere solo davanti al giudice e non altrove. Per questo sono importanti i movimenti per i diritti delle persone omosessuali: anche davanti a una politica oligarchica e poco coraggiosa, i diritti fondamentali vengono nonostante tutto proclamati. Nella sentenza della corte di Strasburgo si citano sondaggi favorevoli alle unioni civili e si rimprovera il nostro legislatore di non ascoltare la propria opinione pubblica. Oggi il problema non è la società, ma la politica che cerca di congelare la vita delle persone.