Quale, Professor Rodotà?
«Quella per cui se Renzi fallisce è tutto finito. Una descrizione catastrofista voluta per non disturbarlo».
Andrebbe disturbato?
«Per me il progetto a cui ha dato vita è già finito. Siamo passati dalle larghe alle piccole intese. Renzi è bravo dialetticamente, è veloce, ma quale visione politica ha? E soprattutto quale maggioranza? Se ne può discutere o lo si deve considerare fideisticamente il Salvatore della Patria?».
Due milioni di elettori del Pd alle primarie gli hanno dato fiducia.
«Renzi è diventato segretario del partito solo perché il Pd non c’era più da molto tempo. Ha vinto senza bisogno di combattere. E lui si è preso tutto quello che si poteva prendere in una città morta. Ma governare non sarà altrettanto semplice».
Renzi, la ricostruisce questa città morta o ne fonda una nuova con lo stesso marchio?
«Ne fonda una nuova. Lo ha già fatto. È evidente».
Eppure il Pd ha aderito al Pse. Il Capo Scout si è alleato con Schulz.
«Era una strada obbligata. Renzi è da sempre un sostenitore del bipolarismo. Con l’Ncd che guarda al Ppe non poteva restare nel limbo. Mi pare che abbia fatto una scelta più legata alla strategia che alla sensibilità».
Che cosa succederà alle europee?
«Sono pessimista nei pronostici. Ma la strada del Pd è in salita considerate le posizioni di Grillo, di Alfano, della Lega e di Forza Italia. L’Europa era stata presentata come un valore aggiunto, poi i governi che si sono alternati l’hanno sempre descritta come la matrigna che chiede sacrifici. Immagino una campagna elettorale che abbiamo come slogan: dobbiamo riscrivere la costituzione europea».
Il populismo paga?
«Forse in termini di consensi. Perciò Grillo è andato avanti con le espulsioni. Per salvaguardare la sue rendita di posizioni. Ma è ovvio che l’orizzonte deve essere diverso».
Ovvero?
«La via l’ha in parte tracciata il Presidente della Repubblica. Napolitano a Strasburgo ha detto: dobbiamo uscire dalla logica dell’autorità e rimettere in discussione non tanto il vincolo del 3%, ma una serie di parametri che hanno delegittimato l’Europa agli occhi dei cittadini. Dobbiamo rimettere la politica al centro. Apertamente. Prima del voto. Parlando con Francia e Spagna. E con la Merkel».
Noi non ce l’abbiamo un ministro per le politiche europee.
«Magari, come spero, Renzi considera questa partita decisiva e la vuole giocare in prima persona. Oppure, e io spero di no, è disinteresse».
È all’altezza di questa partita?
«Non lo so. Alla Camera il suo discorso sull’Europa, come su una serie di altri punti, mi è sembrato vago. Tra l’altro sostenere che il cambiamento è sempre positivo è una semplificazione pericolosa. Se cambia la legge elettorale, per esempio, che cosa succede?».
Non sembra un esempio a caso.
«Non lo è. La stanno rifacendo nel nome della supposta governabilità. Ma se tutto deve avere come riferimento la governabilità in sostanza si cambia la Costituzione».
Professore, c’è qualcosa che le piace di Renzi?
«Che, ad esempio sul lavoro, sembra volere riscrivere un’agenda sociale diversa da quella di Letta, tutta governativamente autoreferenziale».
Ha riportato il tema della scuola in cima all’agenda.
«Sì. Ma in questo periodo di crisi, in cui le risorse dovrebbero essere concentrate sul pubblico, che cosa farà con i 236 milioni che vengono destinati alle scuole private? Vuole una previsione? Eviterà di affrontare il problema».
Quali altri problemi eviterà?
«Questa maggioranza tratterà al ribasso tutti i temi legati ai diritti civili».
È possibile una maggioranza diversa?
«Sì, liberandosi dall’esperienza infausta delle grandi e delle piccole intese».
Tornando al voto?
«Non solo. Sel viene da un congresso travagliato, in più c’è un’area civatiana che può essere allargata dalla diaspora del Movimento Cinque Stelle. Non mi pare che siano condizioni da sottovalutare. Sarebbe un modo per liberarsi dalla sudditanza dal centrodestra ed evitare governi con questi sottosegretari. Certo, serve tempo. Ma poi si potrebbe andare avanti fino al 2018».
Il famoso partito di Rodotà immaginato da Civati? Un nuovo centrosinistra?
«Ho letto dei sondaggi che danno la lista Tsipras al 7%. Numeri che se alle europee si dovessero realizzare non avrebbero un effetto immediato sulla vita politica italiana. Ma che potrebbero accelerare un processo in atto».
È disposto a metterci la faccia?
«Certamente non mi tirerei indietro».
Alle europee voterà Tsipras?
«So che ci sono difficoltà per la lista, ma direi proprio di sì. Tsipras fa una critica molto forte all’Europa, ma senza dire: sbaracchiamo, usciamo».
Non teme che la sua scelta possa provocare una scissione nel Pd?
«Ah, non lo so. Ma alla mia età non sono proprio capace di starmene tranquillo».