Non conosciamo le motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano sul caso Ruby. Sappiamo che la Corte ha condannato. E sappiamo per quali reati: concussione per costrizione (a cui come da nuova formulazione post legge Severino è stata applicato il minimo della pena) e sfruttamento di prostituzione minorile. Sappiamo che l’imputato Silvio Berlusconi è ad oggi non solo plurindagato, ma anche pluricondannato. Facendo salvo il principio di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato.
Questo sul piano giuridico. Ma da questo non può silenziarsi un ragionamento che è e deve essere squisitamente politico. Perché il condannato in questione è l’uomo che ha governato questo Paese quasi ininterrottamente per vent’anni, che lo ha condizionato, attraversato e influenzato. E, cosa non di poca rilevanza, continua a farlo. Allora la domanda più dirompente è: cosa si aspetta la sinistra da questa alleanza? Perché calano silenzio e moniti, come tutto si dovesse fermare. Come niente si dovesse dire. E se nemmeno ora si può mostrare distanza e riprovazione senza essere considerati giustizialisti e moralisti, mi chiedo quando. La politica ha il dovere di schierarsi. Lo ha nei confronti dei cittadini elettori. Ha il dovere di prendere posizioni precise su temi che toccano le sensibilità di ognuno di noi, dopo averne attraversato e condizionato gli assetti economici, culturali e relazionali. Parliamo della nostra democrazia.
Il fallimento delle politiche berlusconiane è sotto gli occhi di tutti. Italiani e non. Questo è il vero nodo politico. Economia, Scuola, Ricerca, Politiche del Lavoro, Sanità sono state messe in ginocchio fino quasi a farci tracollare definitivamente. Ed il tanto invocato carisma del leader Berlusconi non ha prodotto in questi anni altro che gravissimi colpi alla credibilità delle nostre Istituzioni e al prestigio internazionale del nostro Paese. Una democrazia parlamentare silenziata da continui voti di fiducia. Agguati continui sotto l’egida di una larga maggioranza affinché leggi ad personam proteggessero una sola persona, una sola posizione.
E se non fosse stato per il popolo dei referendum, che zitto davvero non è stato, avremmo un sistema di beni comuni abusato e piegato alla volontà di pochi. Avremmo una Giustizia asservita alla difesa di uno. Questo va detto. Anzi, ri-detto. Perché è la nostra storia. Allora se nel resto del mondo i politici sono sottoposti a regole di etica politica così ferree da essere tagliati fuori per qualche multa non pagata, master non sostenuti o lauree copiate, non si capisce perché in Italia, Paese forte del G8, sembra un sacrilegio invocare le dimissioni, la ritirata, l’uscita di scena di un uomo che questo Paese ha sì governato, ma anche esposto a continui imbarazzi che offendono l’integrità del nostro assetto istituzionale. E non è avocare alla Magistratura ciò che doveva fare la politica.
Il punto è assumersi la responsabilità, appunto politica, di una presa di distanza netta e convinta da politiche neo liberiste fallimentari oggi come ieri e da comportamenti che minano il prestigio delle nostre Istituzioni. E non può essere scandaloso poterlo dire. Dovrebbe essere scandaloso non essere in grado di dirlo.