Alcuni di questi hanno potuto rendersi conto della complessità della vicenda, conoscere i loro colleghi eletti in altri luoghi e forse realizzare de facto quella assemblea nazionale del Movimento che era vietatissima. Ciò è servito a molti per uscire dalla visione semplicistica e per questo trascinante di Grillo. Siamo alle solite, dunque? No, perché la situazione di questi giorni ha una sua specificità. In questo caso non si contesta alla senatrice ligure di aver violato il regolamento. La si accusa solo di aver contestato il Capo. Finora, anche se strumentalmente si tiravano in ballo gli articoli (vaghi e variamente interpretabili) del “Non-Statuto” o le norme di condotta dei gruppi parlamentari. Adesso si processano direttamente le posizioni espresse.
Non si tratta “solo” di democrazia interna, ma della struttura del M5s e della sua logica profonda. Grillo e Casaleggio, con la retorica della “gente comune” e la scusa della critica alle organizzazioni politiche, hanno portato in Parlamento soprattutto individui atomizzati e quindi deboli di fronte al Capo. Non ci troviamo di fronte a cittadini espressione di interessi collettivi, che traggono forza dai territori e dal loro ambito di riferimento.
Da questo punto di vista, lo slogan “Uno vale Uno” è davvero inquietante: significa che tutti i grillini sono individui e restano tali. La Rete, nella mistica di Casaleggio, è una macchina che premia il merito e la competenza, che garantisce il vero “libero mercato”. E che realizza il sogno di ogni potente: essere in diretta connessione con il cittadino. Senza che questo si organizzi in corpi collettivi.
Il paradosso è che per certi versi Grillo ha ragione: come reso evidente dal flop al voto locale, i voti li aveva presi lui e non i suoi deputati, che erano stati scelti da una consultazione interna al M5s cui hanno partecipato poche centinaia di persone, e neanche il fantomatico “programma”, che secondo i più ottimisti stava lì a dimostrare che i grillini erano “di sinistra”. I parlamentari pentastellati nella maggioranza dei casi sono totalmente sconosciuti anche ai loro concittadini, non hanno radicamento locale.
Per di più, ieri il sindaco di Parma Federico Pizzarotti è stato contestato dall’Assemblea No Inceneritore, che si è aggregata attorno ai tanti che non vogliono aderire alla “partecipazione embedded” messa in piedi dall’amministrazione grillina.
Questo spiega come mai i grillini si sono blindati dentro al Parlamento, non hanno mai provato a costruire forme di relazione tra piazze vive e realmente plurali (non comizi-spettacoli del Capo) e Palazzo. Grillo ha mostrato in più occasioni di avere il terrore dei conflitti sociali. Spesso e volentieri dice: “Se non ci fossi io la gente si ribellerebbe”. E invece, grazie a lui, la “rivoluzione” e il “cambiamento” vengono continuamente evocati, simulati, ridotti a feticci: in fin dei conti svuotati. Per ottenere questo risultato, Grillo deve tenere sempre serrate le fila dei suoi, agitare nemici esterni e alzare il livello dello scontro virtuale e comunicativo. Anche a costo di perdere pezzi.
Il M5s federa umori e interessi di gente diversa e spesso inconciliabile. Ciò implica che possa muoversi solo nella rappresentazione gestita dal Capo, non nelle dinamiche concrete, che siano quelle di palazzo dei partiti o quelle di piazza dei movimenti.
Nel momento in cui ciò avviene, il M5s diventa un’altra cosa. Stava succedendo nella timida e impacciata relazione con Stefano Rodotà all’indomani della nomination alle Quirinarie, un dialogo raccolto con furore da Beppe. Accade nello spazio limitato dei (davvero pochi) contesti locali in cui i grillini accettano di confrontarsi da pari a pari.
La prima condizione affinché i grillini comincino a muoversi su un piano reale, prendendo decisioni e facendo scelte che oltrepassino gli scontrini o gli slogan sulla Casta e che riguardino interessi materiali e non virtuali, è che il M5s si scinda, che questi riescano a fuggire dal set del Truman Show che è stato allestito a uso e consumo del Capo. Perché è sempre più evidente: quello show è pensato per produrre spettatori, al massimo per portare in scena comprimari e caratteristi. E invece c’è bisogno di protagonisti.