Per decisione di Renzi, il referendum di ottobre sarà di fatto un plebiscito sulla sua leadership. E se vincerà, Renzi potrà vantare di avere il consenso diretto (senza la mediazione del Pd) ed esplicito del popolo da lui chiamato a pronunciarsi.
L’Italia diventerà così una democrazia plebiscitaria. La posta in gioco non è trasformare il Senato in un’accozzaglia di nominati e modificare il rapporto Stato-regioni, ma cambiare la Repubblica democratica in una democrazia plebiscitaria con Renzi padrone assoluto. Ecco il motivo di tanto accanimento da parte di Renzi e dei suoi.
La democrazia plebiscitaria, ci insegna Gianfranco Pasquino dalle colonne del Dizionario di Politica, non è né necessariamente, né sempre una democrazia autoritaria.
William Gladstone (1809-1898), ad esempio, è stato un leader plebiscitario nell’Inghilterra dell’Ottocento, ma la democrazia inglese non è degenerata in democrazia autoritaria. Condizione essenziale affinché il leader plebiscitario non diventi il centro di un sistema autoritario è che i freni e i contrappesi “che Parlamento e società sono in grado di produrre e di fare funzionare” siano forti.
“Lo straordinario impatto che la televisione ha sulla politica contemporanea, – ci mette in guardia Pasquino – rende quei freni e quei contrappesi sempre più importanti per evitare che la demagogia di massa si traduca in regimi autoritari”.
Dopo l’investitura plebiscitaria di ottobre, Renzi, se vincerà le elezioni, com’è quasi certo, avrà, grazie al sistema elettorale da lui voluto, un controllo completo sul Parlamento.
Potrà infatti contare non soltanto su una maggioranza invincibile composta da persone che devono esclusivamente a lui, in quanto capo del Pd, la loro elezione. Il presidente della Repubblica, di fronte a un capo plebiscitario, potrà soltanto tacere e avallare.
La televisione pubblica è già largamente in mano sua. I giornali, a eccezione del Fatto Quotidiano e del manifesto, assecondano il suo volere.
La società civile italiana – con la crisi irreversibile dei partiti politici, del sindacato e delle associazioni culturali – è del tutto frantumata.
Orbene, c’è qualcuno intellettualmente onesto disposto a sostenere che stando così le cose la democrazia plebiscitaria renziana non diventerà un regime autoritario e possiamo dormire tranquilli? “Se vincerà il sì, l’Italia avrà un nuovo padrone”. Qualcuno comincia, per fortuna, a rendersene conto. “Se Renzi vince – ha scritto Eugenio Scalfari su Repubblica il 22 maggio, sarà padrone, se perde si apre uno scenario nuovo sul quale è molto difficile fare previsioni”.
Ma poi osserva che “personalmente — l’ho già detto e scritto — voterò no, ma non tanto per le domande del referendum quanto per la legge elettorale che gli è strettissimamente connessa. Se Renzi cambia quella legge (personalmente ho suggerito quella di De Gasperi del 1953) voterò si”.
Anche Scalfari pare dunque non capire che la vittoria del sì da sola segnerà l’inizio della democrazia plebiscitaria. In politica i mali devono essere curati appena si manifestano, non quando diventano incurabili.
Ora che Renzi ha risposto che non ci pensa neppure a cambiare l’Italicum c’è da augurarsi che Scalfari, e la dissennata minoranza interna del Pd, dichiarino a chiare lettere che voteranno un bel No ed esortino lettori e seguaci a seguirli. Ma non ci scommetterei.
Non mi stupirei di leggere avvitamenti intellettualmente e moralmente spregevoli come quelli di Cacciari e Benigni.
Se non sarà così ne sarò felice. La prospettiva di una democrazia plebiscitaria autoritaria dovrebbe far paura a chiunque ami la libertà e abbia un minimo di senno. Qualsiasi scenario politico, nel caso di una vittoria del No, è molto meno preoccupante. Quando un uomo conquista un potere enorme – poco importa se con la forza, o con l’inganno e con l’astuzia, come nel caso di Renzi – dipendiamo tutti dalla sua volontà, e dunque non siamo più liberi, ma servi.
Purtroppo, dopo aver sperimentato il potere enorme di Berlusconi, pare sia rimasto nella maggioranza degli italiani un desiderio incontenibile di vivere servi. Qualcuno ricorda ancora l’aureo principio della saggezza politica repubblicana che essere liberi non vuol dire avere un buon padrone, ma non avere alcun padrone?