Caro direttore, in riferimento all’articolo di Salvatore
Cannavò, “Rottura ligure, la sinistra cerca l’x factor
rosso”, pubblicato il 20 gennaio dal tuo giornale, ti chiedo
di ospitare una riflessione che precisa le posizioni che mi
vengono erroneamente attribuite. Un caro saluto.
Questi sono giorni cruciali, come ho avuto il modo di dire
il 17 gennaio, nel corso dell’assemblea dell’Altra Europa
con Tsipras alla quale Salvatore Cannavò fa riferimento
nel suo articolo del 20 gennaio. Sono giorni cruciali
per noi in Italia, dove ci stiamo preparando all’elezione
del prossimo presidente della Repubblica e a un possibile
sfaldamento del Pd, e sono giorni cruciali per un’Europa che
– scossa dai terribili attentati di Parigi e dalle loro
prevedibili ripercussioni sulle politiche di sicurezza e sui
diritti dei cittadini – attende l’esito delle
elezioni generali in Grecia.
La possibile vittoria di Syriza, cui l’Altra Europa si è
ispirata fin dalla sua costituzione, potrebbe davvero
rappresentare una svolta, se Tsipras condurrà sino in fondo
la battaglia che ha promesso, e se sarà sostenuto da un
grande arco di movimenti e partiti fuori dalla Grecia. Sarà
la prova generale di uno schieramento che non si adatta
più all’Europa così com’è, che giudica fallimentari e non
più proponibili i rigidi dogmi dell’austerità, e che mette
fine allo schema ormai trentennale inventato da
Margaret Thatcher, secondo cui “non c’è alternativa” alla
visione neoliberista delle nostre economie e delle nostre
società: visione fondamentalmente antisindacale,
politicamente accentratrice, decisa a decostituzionalizzare
le singole democrazie dell’Unione europea e la democrazia
delle stesse istituzioni comunitarie.
In questo scenario, l’articolo di Cannavò restringe
l’orizzonte, collegando la nascita di un progetto politico
di ampio respiro a una mera sommatoria di sigle e di
singole figure, per quanto autorevoli.
Nell’inverno 2013-2014, la lista L’Altra Europa con Tsipras
nacque per unire in Italia le forze che non si riconoscevano
nella linea di un partito – il Pd – sempre più
attratto dall’ideologia centrista che sprezza le forze
intermedie della società, e i poteri che controbilanciano il
potere dell’esecutivo. Siamo nati – ho avuto occasione di
dirlo a Bologna – per rimobilitare
politicamente e conquistare il consenso di una sinistra oggi
emarginata, sì, e anche di chi ha cercato rifugio nel
movimento di Grillo o – sempre più – nell’astensione, dunque
in un voto di sfiducia verso tutti i partiti e tutte le
istituzioni politiche.
Eravamo partiti da Alexis Tsipras e dalle sue proposte di
riforme europee, perché anche noi vedevamo la crisi iniziata
nel 2007-2008 come una crisi sistemica – di tutto
il capitalismo e in particolare dell’eurozona – e non come
una somma di crisi nazionali del debito e dei conti da
tenere in ordine nelle varie case nazionali. L’aggancio a
Syriza e al caso greco era un grimaldello per cambiare
l’Europa e la politica italiana.
Quelle idee vanno salvaguardate, perché hanno prodotto un
esito importante: un milione di voti, tre deputati nel
Parlamento europeo, un consigliere comunale in
Emilia Romagna; ma soprattutto hanno prodotto
una consapevolezza nuova: non bisogna aspettare, per nascere
come soggetto politico, che altri decidano quale fattore x,
quale alternativa nuova e mai vista debba prodursi alla
politica di Renzi.
Il soggetto c’è, questo ho detto a Bologna, senza mai
sognarmi di pronunciare le parole che mi vengono attribuite
da Cannavò: L’Altra Europa non è affatto un
“contenitore autosufficiente”, ma un’esperienza politica
autonoma, che può essere messa in comune nella costruzione
di una nuova realtà il più ampia possibile – che si dia il
compito di fermare la disgregazione sociale in atto
nel nostro paese, a livelli mai conosciuti nella storia
repubblicana, mettendo al centro la difesa del lavoro e
dell’ambiente, e ridando dignità a una generazione senza
prospettive.
La nostra Lista non deve dimenticare, e anzi deve accentuare
e trasformare sempre più in proposte politiche concrete, la
sua intuizione iniziale: l’aspirazione a essere massimamente
inclusiva e unitaria, partendo dalle esperienze e dalle
pratiche esistenti nei territori, e massimamente aperta ai
movimenti alternativi. Aperta – come lo siamo stati
nelle elezioni europee – alle persone più che agli apparati.
Pronta a dialogare con i diversi partiti e movimenti della
sinistra radicale, e anche con chi non si identifica – o non
si identifica più – in ciò che viene chiamato “sinistra”.
Penso agli ecologisti, ai militanti delle battaglie
anticorruzione e antimafia, ai delusi del M5S, e infine –
ancora una volta, e sempre più – agli astensionisti. Il
nostro progetto politico non era la riproposizione di un
insieme di partitini e, anche se essenzialmente di sinistra,
non era solo di sinistra. Non era antipartitico, ma era
rigorosamente non-partitico. Sono talmente tante le cose
da fare che non abbiamo letteralmente tempo di occuparci
degli equilibrismi tra i piccoli partiti, delle piccole
o grandi secessioni dentro il Pd. C’è l’Europa
dell’austerità, che dobbiamo cambiare affiancando la
battaglia che domani farà Syriza, e che dopodomani – spero –
farà Podemos. C’è l’Europa-fortezza da mettere
radicalmente in questione, con politiche dell’immigrazione
che mutino i regolamenti sull’asilo,
che garantiscano protezione ai profughi da guerre che
attorno a noi si moltiplicano e ci coinvolgono, perché sono
guerre che americani ed europei hanno acutizzato e quasi
sempre scatenato.
Perfino il mar Mediterraneo va ricostituzionalizzato, visto
che l’Unione sta violando addirittura la legge del mare,
mettendo in discussione il dovere di salvare le vite
umane minacciate da naufragio. E vanno aboliti i Cie, i
Centri di identificazione ed espulsione, nella loro
forma attuale. Ho visitato in dicembre quello di Ponte
Galeria a Roma. Non è un centro. É un campo di
concentramento. Non per ultimo: in Italia bisogna trovare
risposte a un razzismo che sta esplodendo ovunque, non solo
nel popolo della Lega ma anche a sinistra, e che sarà sempre
più legittimato dalle urne, se non impareremo ad affrontarlo
in maniera giusta e argomentata.
Proprio perché l’ora di agire è adesso, la Lista nata prima
delle europee deve mettersi subito al lavoro, e costruire
un’alternativa con tutte le forze che vorranno ripensare
la democrazia e con tutte le personalità in rotta con il
partito di Renzi, ma senza disperdere il
patrimonio dell’Altra Europa, specie quello accumulato nei
territori. Senza sciogliersi. E avendo coscienza che non
basta riunire attorno a un tavolo i frammenti della
sinistra. Ci interessa al tempo stesso, e subito, il dialogo
con gli italiani che si astengono o che votano Grillo:
rispettivamente il 40 e il 20 per cento dell’elettorato.
È la maggioranza del paese, con cui la politica deve
ricominciare a parlare. Alla crisi straordinaria che
viviamo, non si può che rispondere con uno sforzo di
unificazione, e di oltrepassa-mento dei recinti cui siamo
abituati.
Articolo di Barbara Spinelli, che su “Il fatto quotidiano” del 23 gennaio, risponde ad una deformazione del suo pensiero operata qualche giorno fa da Cannavò