Spero che la mia non sia una voce isolata – che non lo sia fra i colleghi docenti di ogni ordine e grado, in particolare quelli universitari, e non lo sia soprattutto fra gli studenti o gli aspiranti studenti universitari. Spero che – soprattutto se sono uomini e donne di buona volontà, se sono progressisti, se hanno addirittura concepito qualche speranza nella formazione politica di cui lei è leader, vogliano levare voci più forti della mia per chiederle di ritirare questa sua proposta di abolire in toto le tasse universitarie.
Prima di esporre le ragioni di questa speranza, vorrei sollevare il lato più doloroso della questione, quello che nasce dall’indubbia buona fede con cui lei deve averla fatta, come fosse una cosa “di sinistra”, tanto per capirci. E non c’è dubbio che alcuni l’abbiano creduta tale: la “Retta via”, come titolava qualche giorno fa Il manifesto.
Come ha potuto venirle in mente, Senatore, una proposta tanto equivoca e ingannevole, che oltre a preparare una coltellata alle spalle di questa nostra già tanto malconcia Università sembra adottare la stessa logica al ribasso che l’ala peggiore della politica italiana adotta nei confronti del servizio pubblico più prezioso per una civiltà democratica, l’istruzione e la formazione alla ricerca? Dico ingannevole, non tanto perché quella riforma non sia realizzabile, quanto perché proporla contribuisce al più doloroso auto-inganno che certa “sinistra” continua ad infliggere alla propria coscienza. L’inganno è che si misuri la giustizia politica sempre e solo con la distribuzione dei soldi o dei vantaggi, escludendone le componenti più profonde: quelle costituzionali, civili e morali, ideali.
Perché tali sono le ragioni contro la sua proposta. Cosa c’entra un azzeramento indiscriminato delle tasse con il dettato costituzionale (Art. 34) che afferma “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” ? Cosa c’entra con la precisa prescrizione “La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”? Noti la precisione. La sanità pubblica, ad esempio, non si sollecita ovviamente per concorso, perché non c’è alcuna responsabilità che assumiamo in prima persona della nostra vita nel subire una malattia.
Ma c’è quando scegliamo un corso di studi, quando seguiamo la nostra via anche indipendentemente dalle esigenze della produzione o del mercato. Sotto la sua Presidenza del Senato, il Parlamento ha approvato l’esenzione totale dalle tasse universitarie agli studenti con una posizione Isee (l’indicatore del reddito familiare) entro i 13mila euro annui. Così, secondo dati raccolti dal Sole 24 Ore, un terzo degli studenti universitari già ha ottenuto l’esenzione dalle tasse. Tutti quelli che nelle stesse condizioni volessero iscriversi l’otterrebbero.
E perché debbono studiare gratis anche gli altri? E perché poi proprio nel momento in cui molte università pubbliche cominciano a dotarsi degli strumenti per verificare e differenziare le classi di reddito, in modo da aumentare il numero delle borse di studio, evitando di scaricarne il costo sulle spalle di tutti i contribuenti? Ma poi, quali effetti avrebbe questa misura, in un paese dove lo Stato non ha affatto la capacità di ridurre la gigantesca evasione fiscale, sulla qualità già tanto scarsa di un servizio tanto prezioso e costoso? E questo disinteresse per la conseguenza non tradisce già un (certo inconsapevole!) disprezzo dei più elementari valori della conoscenza, della scienza, della ricerca, della critica, della responsabilità personale e dell’attenzione all’impegno e al merito – insomma dell’intero pensiero umanistico? Per non parlare dell’autonomia dell’Università dalla politica: ma che fine farebbe? La prego, Senatore, ritiri questa proposta!