In queste ore concitate e drammatiche occorre conservare la lucidità, e non prestarsi alla facile demagogia della piazza.
Se la messa in stato d’accusa del Capo dello Stato appare una truculenta buffonata, anche le mobilitazioni in suo favore appaiono del tutto fuori luogo. Questo pessimo epilogo chiude un irresponsabile percorso di privatizzazione delle istituzioni repubblicane, culminato nel contratto tra Lega e Cinque Stelle: con l’annesso comitato di conciliazione e con la conseguente scelta di una evanescente figura di esecutore tecnico cui affidare la parte di presidente del Consiglio.
Sergio Mattarella ha infine inflitto all’istituzione della Presidenza della Repubblica una torsione inaudita, che costituirà un precedente pericolosissimo. Il suo lungo discorso ha esplicitato il fatto che egli si è assunto la responsabilità di decidere l’indirizzo politico del governo, entrando nel merito di idee e di scelte politiche: così non rispettando spirito e lettera della Costituzione. Le sue motivazioni hanno formalizzato una dura verità: la sovranità dei mercati ha preso il posto della sovranità popolare. L’incarico a Carlo Cottarelli ha poi tratteggiato icasticamente l’immagine di una democrazia commissariata.
Nel suo discorso Mattarella ha detto che aveva accettato tutti i ministri tranne quello dell’Economia. Tutti: anche Matteo Salvini all’Interno. In questo doppio registro c’è il senso profondo della crisi generale in cui siamo sprofondati: si tutelano i soldi, non i corpi. Gli investitori, non i principi fondamentali della Carta. È una dittatura dei mercati in cui le vite, i diritti, l’eguaglianza contano meno di zero. Ed è qui, è proprio in questa sottrazione di democrazia e in questa generale genuflessione al potere del denaro, che la propaganda razzista di Salvini prospera e macina consenso.