È ancora possibile una politica costituzionale? La questione non
riguarda soltanto l’Italia, né si esaurisce nel controllo di conformità
delle leggi a singole norme della Costituzione. Ma, quando si segnala
questo tema, accade spesso di ricevere risposte infastidite, quasi che
si volesse mettere la politica sotto una incombente e inammissibile
tutela del diritto.
La realtà è del tutto diversa. Oggi la
politica appare come l’ancella dell’economia, è declassata ad
amministrazione, è affidata alla tecnica. Il recupero della sua
autonomia, non dirò del suo primato, non può che essere affidato alla
sua capacità di tornare ad essere espressione visibile di principi
democraticamente definiti, appunto quelli che si rinvengono nei
documenti costituzionali, dunque espressione di un progetto che ingloba
il futuro, né volubile, né arbitrario. È una questione che ha un
rilevante significato generale. E che, nell’attuale situazione italiana,
va seriamente discussa, perché è destinata ad incidere fortemente sul
modo in cui vengono affrontate la riforma elettorale e quella
costituzionale.
Nell’ultima fase storica si è determinato un
passaggio dallo Stato di diritto allo Stato costituzionale di diritto,
connotato dal controllo di costituzionalità sulle leggi e dalla
istituzione di uno spazio dei diritti fondamentali. Proprio questo
modello appare oggi in discussione, scosso dalla globalizzazione del
mondo e dalla sua riduzione alla dimensione finanziaria. Costituzioni e
diritti appaiono un impaccio, lo si proclama talvolta apertamente,
sempre più spesso si agisce come se non esistessero. Lo vediamo in
Italia, ne abbiamo conferma in Europa, dove la Carta dei diritti
fondamentali è stata cancellata, malgrado abbia lo steso valore
giuridico dei trattati. Lo Stato costituzionale di diritto sarebbe
dunque alla fine, viviamo in una fase in cui la mancanza di un quadro
istituzionale riconosciuto favorisce l’espandersi di poteri
incontrollati?
Rivolgendo lo sguardo alle cose di casa nostra, vi
è un grave rischio di cui è bene avere piena consapevolezza. La corsa
ormai senza freni verso soluzioni maggioritarie, con seri rischi di
incostituzionalità, può determinare un appannarsi di importanti garanzie
costituzionali. Se vi è ancora memoria della nostra storia, si dovrebbe
sapere che quelle garanzie erano state affidate dai costituenti a
maggioranze calcolate con riferimento ad un sistema elettorale
proporzionale, che consentiva un ampio pluralismo delle forze presenti
in Parlamento. Di conseguenza, non v’era una concentrazione di potere in
un partito o in una coalizione tale da consentire interventi in materia
costituzionale affidati ad un solo soggetto, magari costruito
artificialmente grazie a premi di maggioranza. Nel 1953, contro la
“legge truffa” si adoperò proprio l’argomento di una concentrazione di
potere nelle mani dei vincitori che poteva alterare gli equilibri
costituzionali. E si deve aggiungere che il rischio oggi è maggiore,
visto che quella legge tanto esecrata prevedeva che il premio di
maggioranza scattasse solo se la coalizione superava il 50% dei voti.
È
indispensabile, allora, una politica costituzionale che ridisegni il
quadro delle garanzie, prevedendo maggioranze più larghe per la
revisione costituzionale, l’elezione del Presidente della Repubblica e
dei giudici costituzionali, mettendo in sicurezza proprio le istituzioni
di garanzia e i diritti fondamentali. Non è un compito da affidare al
futuro, ma un processo da avviare in parallelo con l’incombente
forzatura maggioritaria. Altrimenti, eletta la “governabilità” a
feticcio indiscutibile, sarebbe travolto il sistema delle tutele,
alterando in un punto nevralgico gli equilibri democratici.
Serve
una “ricostituzionalizza-zione”, analoga a quella necessaria in Europa
ridando il suo ruolo alla Carta dei diritti fondamentali. Bisogna
ricostruire il nesso tra le varie parti della Costituzione, cancellato
da una sottocultura che vede la “macchina” dello Stato come dotata di
una logica che può essere manipolata secondo gli interessi di una
maggioranza transitoria, e non come lo strumento per realizzare i
principi e i diritti sui quali la Costituzione si fonda.
Ma la
politica costituzionale è indispensabile anche per uscire da una
schizofrenia che da anni affligge il nostro sistema. I diritti
fondamentali sono scomparsi dall’orizzonte parlamentare, dove le poche
leggi approvate sono state ideologiche e repressive. La loro tutela è
stata tutta affidata alla giurisdizione, Corte costituzionale e Corte di
Cassazione, dove per fortuna è rimasta vigile una cultura delle
garanzie. Ora il Parlamento deve riassumere le proprie responsabilità,
affrontando grandi questioni individuali e sociali, di cui non v’è
traccia nell’agenda del Governo. O la necessità di salvaguardare i
precari equilibri di maggioranza ci condannano ad una minorità civile?
Qualche esempio. Il riconoscimento effettivo delle unioni anche tra
persone dello stesso sesso, non come una mancia data a malincuore e al
ribasso, ma come tutela di diritti fondamentali, secondo la linea
tracciata dai giudici costituzionali e della Cassazione.
Una
normativa coerente al posto delle macerie lasciate dalla superideologica
e incostituzionale legge sulla procreazione assistita. Una nuova
disciplina sugli stupefacenti senza concessioni a furbizie e colpi di
mano come quello tentato dalla ministra per la Salute. Regole minime per
eliminare ogni dubbio sul diritto di morire con dignità. Altrettanto
urgente, dopo il monito del Consiglio d’Europa, è un intervento che
cancelli lo scandalo del dilagare delle obiezioni di coscienza dei
medici all’aborto, che negano un diritto delle donne che la legge vuole
pienamente garantito dalle istituzioni pubbliche. Tutte questioni che
toccano “valori non negoziabili” e che mettono a rischio la tenuta
dell’attuale maggioranza? Ma qui non v’è nulla da negoziare. Vi è
soltanto il dovere di dare attuazione a diritti costituzionalmente
garantiti, che non possono essere assoggettati a ricatti e convenienze.
Ineludibili politiche costituzionali, appunto.
Nello spazio tra i
silenzi parlamentari e i provvidi, ma insufficienti, interventi dei
giudici si è manifestata negli ultimi tempi una importante attenzione
delle istituzioni locali. Una legge della Regione Abruzzo ha aperto la
strada all’uso terapeutico della cannabis. Molte delibere comunali
saffrontano temi importanti, dai testamenti biologici alle unioni
civili, dalla cittadinanza “civica” dei figli degli immigrati alle
garanzie per i detenuti (segnalo per la sua ampiezza il “pacchetto” del
comune di Parma). A Bologna è stato approvato un regolamento per la
collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura dei beni
comuni. Iniziative simboliche in alcuni casi, ma sempre politicamente
significative, perché volte a ricostruire, attraverso l’attenzione per i
diritti e la partecipazione. i rapporti tra istituzioni e cittadini. La
politica costituzionale si sta insediando nei luoghi della democrazia
di prossimità?
Questa lezione può essere messa a frutto dal
Parlamento in molti modi. Rafforzando il suo rapporto con i cittadini
con semplici modifiche regolamentari che diano forza alle iniziative
legislative popolari (e invece arrivano segnali timidi e inadeguati).
Cogliendo tutte le occasioni per mettere in evidenza l’irriducibilità
dei diritti fondamentali alla pura logica di mercato (un segnale
eloquente è venuto dallo scandalo dei prezzi di farmaci prodotti da
Roche e Novartis). Ricostituzionalizzando il diritto del lavoro con la
cancellazione dell’articolo che consente negoziati in azienda anche in
deroga alla legge, che azzera storiche garanzie, e approvando una legge
sulla rappresentanza sulla linea indicata dalla Corte costituzionale.
Solo così il Parlamento potrà recuperare un po’ della legittimazione
perduta per il fatto d’essere stato eletto con una legge
incostituzionale e per l’ormai radicata sfiducia dei cittadini.
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