GLI ULTIMI movimenti di Grillo, dopo la rielezione di Napolitano,
sono non solo prudenti ma inquieti: quasi contratti. Non ha afferrato
l'occasione offerta dalla collera di migliaia di cittadini, che avevano
sperato in Stefano Rodotà: dunque in una democrazia rifondata, che
chiudesse il ventennio berlusconiano. Ha evitato euforiche piazze. Non è
un comportarsi populista.
Perché il populista classico mente al popolo, per usarlo e manipolarlo.
Viene in mente, osservandolo, quel che il filosofo Slavoj Zizek disse
delle sinistre di Syriza, nel voto greco del giugno 2012: "Sono
sognatori che svegliandosi si son trovati in un incubo". Col che
intendeva: non sognano affatto, ma razionalmente guardano la realtà e la
riconoscono tragica.
La realtà vista da Grillo è difficilmente confutabile: è la sconfitta,
enorme, vissuta sabato dall'Italia del rinnovamento. E il trionfo, non
meno vistoso, dei piani del demiurgo di Forza Italia: il Pd ridotto molto
democraticamente in ginocchio; poi un governo di larghe intese; poi la
vittoria elettorale del Pdl. E all'orizzonte, non lontano: Berlusconi
capo dello Stato. Parlando alle Camere, lunedì, Napolitano ha definito
perfettamente consona alla democrazia europea la coalizione "tra
forze diverse". L'orrore che essa suscita, l'ha analizzato in
termini psicologici: è una "regressione" faziosa. Un'immaturità
smisuratamente tenace. Mai Berlusconi è stato così banalizzato. Mai è
apparso lo statista che solo nevrotici bambinizzati avversano.
Ma Grillo sa qualcosa di più. La morte della sinistra italiana, prima
innescata dal rifiuto di 5 Stelle di accettare un comune governo, poi
accelerata dal no del Pd a candidati di svolta, suggella l'apoteosi, più
vasta, di chi da tempo vede l'Europa assediata da dissensi cittadini
subito bollati come populisti, quindi euro-distruttori. La speranza che
l'Unione cambi, anche su spinta italiana, certo non scompare: presto, nel
giugno 2014, voteremo per un Parlamento europeo che finalmente designerà
chi sta al timone, alla Commissione di Bruxelles. Ma in Italia è stasi.
Il folle volo degli innovatori, come quello di Ulisse verso virtute e
canoscenza, da noi s'infrange, e il mare dello status quo sopra di lui si
chiude.
Le due cose vanno insieme: la rifondazione delle democrazie, ferite dalle
terapie anti-crisi, e un bene pubblico comunitario che i cittadini
europei possano far proprio, e influenzare. Chi si batte su ambedue i
fronti è chiamato populista perché semplicemente s'è messo in ascolto dei
popoli indignati, grandi assenti nelle oligarchie che fanno e disfano
l'Unione.
È un'autentica offensiva antipopolare (non antipopulista) quella cui
assistiamo da quando Papandreou, premier socialista greco, provò
nell'ottobre 2011 a proporre un referendum sull'austerità che già minava
Atene, e ora l'ha portata alla miseria. Fu ostracizzato, divenne un
infrequentabile paria per le sinistre europee al completo. Solo ai Verdi,
Papandreou destituito spiegherà il senso del referendum: non il rifiuto
di pagare i debiti (i "compiti a casa") ma la domanda di
un'Europa che compensi lo scacco degli Stati nazione con un proprio
bilancio accresciuto e un comune solidale rilancio stile
Roosevelt.
Dopo di allora l'offensiva si accentua, senza più pudore. A Cernobbio,
l'8 settembre 2012, il Premier Monti chiede un vertice europeo
straordinario, di "lotta ai populismi". Citiamo quel che disse,
perché è emblematico e perché le autorità dell'Unione l'applaudirono
entusiaste: "È paradossale e triste che in una fase in cui si
sperava di completare l'integrazione anche dal punto di vista
psicologico, dell'opinione pubblica e in ultima analisi (dal punto di
vista) politico, si stia determinando un pericoloso fenomeno opposto, con
molti populismi che mirano alla dis-integrazione in quasi tutti gli Stati
membri".
Sembrava il comunicato di un prefetto anti-sommosse più che di un capo
politico, e si sa che poliziotti e prefetti usano mettere nello stesso
sacco ogni sorta di estremismo, per poi srotolare deserti che chiamano
pace civile. Nel sacco ci sono Le Pen, i nazisti greci di Alba Dorata, i
liberticidi ungheresi, e a Roma o Atene i veleni letali che sono M5S e
Syriza. L'ideologia è quella con cui Pangloss indottrina l'inerme
Candide, in Voltaire: stiamo andando verso il migliore dei mondi
possibili, l'Europa meravigliosamente si integra, ed ecco -
horribile visu! - una coorte di paradossali e tristi
sovvertitori mirano proprio al contrario: alla dis-integrazione.
Due bugie s'infilano in un'unica collana. La prima marchia i populismi
senz'alcuna distinzione, e poco serve che Grillo ricordi l'evidenza:
avremmo anche noi Alba Dorata, se lui non facesse da argine. La seconda
bugia concerne i movimenti detti euroscettici: come se i disintegratori
fossero loro, non chi per primo ha disintegrato fingendo d'integrare. Le
bugie non hanno affatto gambe corte, lo sappiamo. Le hanno lunghissime e
vanno lontano.
Vero è che Napolitano - una storia lunga l'attesta
- ha sull'Europa idee ardite, non condivise da Berlusconi né forse
da Monti. Quel che non vede, è il nesso causale fra crisi dell'Unione e
torsione delle istituzioni democratiche, della legalità, della giustizia,
delle costituzioni. Altrimenti non prediligerebbe, con tanto impeto,
quelle che alcuni chiamano ipocritamente larghe intese e altri, più
crudamente, inciucio.
Inciucio è parola brutta, ma ci distingue da altri Paesi. L'accordo con
Berlusconi è altro dalle grandi coalizioni tedesche, inglesi. È
compromettersi con una destra del tutto anomala in Europa. Se non fosse
così ci si accorderebbe alla luce del sole, davanti ai cittadini. Non
succede, perché il Pd ne ha avuto vergogna sino a polverizzarsi. E forse
è un bene, affinché chiarezza sia fatta: gran parte dei militanti, e
l'alleato Sel, e Fabrizio Barca o Pippo Civati, già provano a
ricostruire.
Non è antieuropeista Grillo, anche se abitato da scetticismo. Ogni
europeista che si rispetti è oggi scettico. In una recente conferenza a
Torino, Casaleggio ha ammonito contro l'uscita dall'euro ("Solo un
Paese forte e competitivo potrebbe"). Lo stesso ha detto Mauro
Gallegati, economista vicino a M5S.
Ma è utile, per i Pangloss dell'Unione, dipingere Grillo come distruttore
dell'Europa. È tentante bendarsi gli occhi, e nascondere l'estensione di
un disastro che non sfascia solo la democrazia deliberativa di Grillo, ma
la stessa democrazia rappresentativa che contro lui si pretende
presidiare. Ecco dove sta, caro Presidente, la regressione.
Il Parlamento non ha saputo farsi portavoce dell'Italia che invocava
Rodotà o Prodi. Ha ucciso l'idea stessa di rappresentanza, più che la
democrazia dal basso. Proprio perché non è Le Pen, Grillo ha bisogno che
la democrazia classica funzioni, e la sinistra esista. Se oggi pare sì
contratto è perché - un segno già viene dal Friuli Venezia
Giulia - anche la sua barca rischia d'infrangersi.
Vince il credo oligarchico di Monti. L'Europa federata non è necessaria
(Die Welt, 11-1-12). E i governi non devono lasciarsi "vincolare da
decisioni dei propri Parlamenti", ma "educarli" (Spiegel,
5-8-12). Blue sunday, titola Grillo un suo post. Blue sunday t'assale
certe domeniche, dopo weekend insensati. Ti sdrai nel mal-essere, in
attesa che una fantasia, o un pensiero, spezzi il malinconico
blu.
Cos'è populismo, antipolitica? È la massa che si fa gregge, lupo fiutante
sangue e prede. È energia dispotica, sfrenata, irriflessiva,
suggestionabile: scrive Gustave Le Bon nella Psicologia delle Folle
(1895). Come non riconoscere in essa i mercati e i loro plebisciti?
Nessuno li taccia di antipolitica, e come potrebbe. I veri padroni sono
loro. Se ne infischiano. Come le folle, non vedono oltre il proprio naso.
Democrazia e legalità rovinano? Poco importa. Non è affar loro. Non sanno
quello che fanno.
Il Parlamento non ha saputo farsi portavoce dell'Italia che invocava Rodotà o Prodi. Ha ucciso l'idea stessa di rappresentanza, più che la democrazia dal basso