Il giorno della memoria

di Redazione Liberacittadinanza - 27/01/2009
Testimoniato nelle foto di Margaret Bourke White

Si ricorda oggi la shoà, il genocidio degli ebrei nei campi di sterminio nazisti. La scelta del giorno è dovuta al fatto che fu il 27 gennaio del 1945 che  le truppe sovietiche arrivarono presso la città polacca di Oświęcim, più nota con il nome tedesco di Auschwitz, e scoprirono l’esistenza del lager  e dei detenuti: di quelli massacrati e dei pochi rimasti e ridotti in fin di vita. Poi furono scoperti gli altri lager, come Dachau, Mauthausen e Buchenwald.  Da quel momento gli orrori commessi dai nazisti in quei campi di concentramento, in cui erano stati radunati – per essere uccisi – cittadini inermi, colpevoli solo di essere di fede ebraica, o di nazionalità zingara o di orientamento omosessuale,  furono noti in ogni angolo del mondo, fra la costernazione e lo sdegno di tutte le persone civili. Contro chi si ostina a dichiarare l’Olocausto come una menzogna, o una invenzione, ci sono centinaia di migliaia di foto.

 

 M.Bourke White

Il 2 febbraio 1932, il comandante di Auschwitz, Rudolf Hoess, diffonde un ordine categorico: "E' proibito fotografare nei dintorni del campo. Punirò severamente coloro che disobbediranno a questo ordine". Eppure, alla fine della guerra, nel lager sono state trovate quarantamila fotografie.
Più di un milione e mezzo sarebbe invece il numero complessivo di scatti conservate in 30 archivi di tutto il mondo. Intorno all'industria della morte ci fu una vera e propria organizzazione di fotografi, laboratori e studi tecnici. Milioni di stampe sono state prodotte per scopi burocratici, per usi scientifici e di propaganda nonché per giustificare le operazioni di sterminio. E' stato proprio l'orgoglio nazista, il "narcisismo burocratico" del regime, a spingere l'amministrazione dei campi a registrare ogni cosa. Così, nonostante il tentativo degli artefici dell'orrore di cancellare qualsiasi testimonianza, le fotografie salvate dai prigionieri sono oggi una prova visiva inequivocabile della freddezza nei confronti della morte e del disprezzo per la vita che ostentavano ossessivamente i gerarchi dal nazismo.

http://www.metaforum.it/archivio/2004/index08c0.html?t1668.html

Moltissime sono anche le foto “rubate”, fatte di nascosto, da lontano, male inquadrate e spesso non completamente a fuoco, ma perfettamente decifrabili e che raccontano meglio di qualunque parola ciò che avveniva in quei campi di concentramento.

Eppure il vescovo britannico Richard Williamson, tradizionalista lefevbriano scomunicato e ora riabilitato da Benedetto XVI, continua a negare l’Olocausto. Ha rilasciato una intervista  trasmessa dalla tv svedese in cui ha detto: "Credo che non ci siano state camere a gas", e che al massimo solo 300mila ebrei morirono nei campi di concentramento, non certo 6 milioni. Ma  - al di là del numero di morti che non cambia l’orrore dello sterminio - allora c’erano o non c’erano le camere a gas? O com’erano morti tutti quegli ebrei? Ci sembra un po’ confuso, il vescovo Williamson, già noto per altro per il suo antisemitismo. Problemi della chiesa, non nostri, ma tanti auguri e complimenti lo stesso al  man in white.

Fra le foto più famose dei lager ci sono quelle fatte da una donna: la fotografa americana e reporter della grande rivista “LIFE”, Margaret Bourke White, che era anche uno dei fotografi ufficiali dell’Esercito Americano. I suoi reportage fotografici nelle zone di guerra e nelle città bombardate sono fra i più famosi, ma forse le foto più impressionanti sono proprio quelle che lei scattò a Buchenwald, quando le truppe americane raggiunsero quel lager e vi entrarono. C’è anche un filmato che testimonia questo momento ed è spaventoso.

http://www.hfnet.it/videolibro/v03CNT371/

Di questi tempi in cui le donne vengono penalizzate in ogni modo, sono oggetto di violenze, ma non solo fisiche: e le aggressioni alla legge sull’aborto da parte della chiesa e della destra più becera ne sono testimonianza, ci fa piacere ricordare, attraverso le sue foto, una donna coraggiosa, Margareth Bourke White, testimone attenta e attendibile della sua epoca.

 

 

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