Il d.d.l. sicurezza (Atto Senato n. 1236) di cui mi sono occupato più volte qualche mese fa su queste pagine (27 settembre, qui il link, e 21 dicembre 2024, qui il link), ha superato i lavori delle commissioni congiunte affari costituzionali e giustizia del Senato; gli articoli sono stati depositati lo scorso 27 marzo per la discussione nell’Assemblea del 1° aprile; gli emendamenti dovranno essere presentati entro il 7 aprile e, in questo momento, è fissata la data del 15 aprile per l’eventuale seguito.
Non ripeto valutazioni già espresse nei miei precedenti interventi (a cui faccio rinvio) su questo progetto del Governo che ne delinea in modo piuttosto inequivocabile l’intento autoritario, volto a intaccare i fondamentali principi di libertà e di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, ma seguirne l’iter e gli effetti sulla coscienza popolare è certamente molto importante.
La protesta dei cittadini
È da sottolineare, infatti, che la risposta dei cittadini – che per questo Governo non conta, anzi, è da reprimere – non si è fatta attendere. Lo scorso novembre 2024 si costituiva una rete nazionale contro il d.d.l. in questione e dopo le proteste del 14 dicembre 2024 con decine di migliaia di persone, lo scorso 17 gennaio 2025 Amnesty International organizzava una fiaccolata nei pressi di Palazzo Madama.
Il 4 e 5 febbraio la protesta si manifestava anche presso il Parlamento europeo. A tal proposito, è giusto il caso di ricordare che nello scorso dicembre su questo progetto del Governo si era verificato uno scontro tra il Consiglio d’Europa e il presidente del Senato, La Russa. Michael O’Flaherty, Commissario per i diritti umani, comunicava per iscritto al Presidente del Senato i pericoli per lo Stato di diritto in Italia. Per La Russa era un’interferenza inaccettabile, ma a parlare era il Commissario per i diritti umani, non uno sconosciuto qualsiasi.
Il 22 febbraio si svolgevano manifestazioni nelle principali città italiane: Bologna, Napoli, Milano, Roma e Brescia. Alle manifestazioni di piazza bisogna aggiungere un gran numero di iniziative convegnistiche e seminariali, dibattiti e incontri in tutto il territorio nazionale. La mobilitazione dei cittadini contro questo provvedimento anticostituzionale, ovviamente, era ignorata dagli organi di stampa del regime, ma con il suo passaggio dalle commissioni congiunte all’Aula di Palazzo Madama ora si riaccende qualche riflettore.
Le osservazioni di Mattarella
Notoriamente, il d.d.l. in questione aveva sortito l’interessamento del Presidente Mattarella nel suo ruolo di garante della Costituzione. Egli aveva sollevato, infatti, varie eccezioni di forte rilievo. Fra queste ne emergevano particolarmente tre che in altra occasione avevo già definite odiose, razziste e di disprezzo verso le persone più deboli.
La prima è quella che riguarda la sospensione della potestà punitiva dello Stato per evidenti esigenze di rispetto della vita umana e soprattutto del best interests of the child. Nei confronti della donna incinta o della madre di un/a bimbo/a con età inferiore a un anno il rinvio dell’esecuzione della pena è obbligatorio e il giudice deve solo verificare l’esistenza delle condizioni previste. Il d.d.l. n 1236, all’art. 15 cancellerebbe tale obbligo sospensivo, sia che si tratti di donna incinta, che di madre con figli al di sotto di un anno, e il differimento della pena diventerebbe ampiamente discrezionale. Una misura, oltre che incostituzionale, odiosa e cattiva; contro le donne più deboli e in situazioni disperate.
Norme disumane contro donne e bambini
Vero che l’obiettivo razzista sembra essere quello di perseguitare le giovani borseggiatrici di etnia rom e sinti (cosa che non giustifica minimamente, perché obiettivo razzista e repressivo rimane), ma tutti sanno che la povertà assoluta aumenta in continuazione e con essa l’esercito di madri disperate con figli piccoli e nascituri di ogni estrazione etnica. Esse sono in condizioni tali di indigenza da trovarsi indotte al furto per sopravvivenza, finendo così dietro le sbarre per la discrezionalità di un giudice.
La seconda eccezione riguarda una scelta anch’essa fuori dall’umano: si tratta della norma che impedisce ai cittadini extra UE senza permesso di soggiorno di acquistare una scheda Sim per i telefoni cellulari (art. 32, A.S. 1236 che modifica l’art. 30 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259). Nella migliore delle ipotesi (si fa per dire), per chi attende il permesso, l’impossibilita di comunicare con i propri cari diventerebbe drammatica. Padri, figli e figlie, mogli, mariti, madri che non potrebbero comunicare di essere vivi, di essere in attesa di un permesso, di non aver subito altre torture o di aver attraversato il mare. Come si può arrivare a tanto? Questo non interessa minimamente chi semina solamente odio, razzismo e disprezzo verso le persone disperate.
Vietate le schede Sim ai migranti. Vietato protestare in carcere e fuori
La terza eccezione particolarmente rilevante da parte del Quirinale riguarda il nuovo reato di “rivolta carceraria” che colpirebbe non soltanto il detenuto che usa violenza, ma anche chi si limita alla resistenza passiva. Questo, a ben vedere, si collega agevolmente alla più generale tendenza alla criminalizzazione del dissenso di cui il provvedimento è portatore: si desidera avere mani libere per la repressione di tutte le manifestazioni pacifiche e senz’armi (art. 17.1 Cost) che si possono svolgere attraverso i blocchi stradali organizzati da associazioni e attivisti.
Con questa forma di lotta pacifica gli organizzatori intendono solo attirare l’attenzione su problematiche sociali come la pace, le esclusioni, le diseguaglianze, la tutela dell’ambiente, le grandi opere inutili e fortemente impattanti sugli equilibri naturali e la biodiversità.
Su queste eccezioni, in un primo momento il Governo sembrava abbastanza intransigente, poi si era un po’ diviso al proprio interno perché intransigenti sembravano restare solo i leghisti, poi, stando alle notizie di queste ultime ore, anche questi si sarebbero convinti che accogliere alcune delle eccezioni del Capo dello Stato potrebbe portare a una rapida approvazione del d.d.l. “Se l’unica strada per accelerare – dicono – è quella di apportare piccoli cambiamenti che non stravolgono il d.d.l., a noi va bene”. Ma la situazione è decisamente più complessa e le semplificazioni non aiutano mai.
A fronte dello scenario che appare, qualche considerazione finale mi sembra opportuna.
Il ddl è tutto da respingere. In Parlamento e fuori
La prima: le modifiche indicate dal Quirinale non sono “piccoli cambiamenti”, perché rappresentano, pur se in minima parte rispetto all’intero provvedimento, il recupero di una piccola dimensione umana del progetto, ma tale recupero avrebbe un senso in un provvedimento, nel suo complesso, conforme ai principi fondamentali della Costituzione.
Qui, invece – seconda considerazione – il d.d.l. 1236 è tutto da respingere: in esso vi sono scelte politiche di grande peso specifico che impattano fortemente sul sistema dei diritti fondamentali, per cui anche il recupero di briciole di umanità (che in sé sarebbe tanto) finisce per evaporare.
Tali scelte politiche, infatti, investono la forma di Stato visto che si vorrebbe introdurre nel Codice penale nuovi reati che prima non c’erano e ri-penalizzare reati in precedenza depenalizzati. Proprio per questo, certamente le osservazioni del Quirinale vanno nella giusta direzione, ma il problema è politico e netta deve essere l’opposizione a questa (nemmeno subdola) fascistizzazione in atto.
E se veramente ci sono quei “ripensamenti” del Governo su tali osservazioni, questo è dovuto principalmente, oltre che all’opposizione parlamentare che su questo deve restare netta, alla mobilitazione in atto in tutto il Paese.