In
principio furono le camicie rosse di Garibaldi, i volontari partiti
per liberare il Sud, un po’ eroi e un po’ canaglie, ma mossi per
lo più da un generoso empito patriottico, quando il “nazionalismo”
era una ideologia progressiva. Poi, e siamo nel primo Novecento,
vennero le Camicie Azzurre, i “Sempre Pronti per la Patria e per il
Re”, organizzazione paramilitare dell’Associazione Nazionalista
Italiana, diretto antesignano delle Camicie Nere della “Rivoluzione
Fascista”, le quali furono formazioni militari, del primo partito
politico militare della storia italiana: un partito che liquidò i
suoi avversari, ricorrendo alla violenza: sto parlando di manganelli,
pugnali, revolver, fucili, bombe a mano e persino autoblindo; per
tacere degli incendi, delle devastazioni, dei pestaggi, nonché della
simpatica pratica dell’olio di ricino, fatto ingoiare a forza alle
vittime, gesto di estremo oltraggio: mai s’era visto qualcosa di
simile.
Le “squadre d’azione”, che si impegnavano in “spedizioni punitive”, agirono, con qualche precedente nel 1919-20, essenzialmente tra l’autunno 1920 e la fine del 1922, continuando sporadicamente, ferocemente, dopo, con azioni e omicidi “mirati”, un’espressione tornata tristemente alla ribalta in relazione a certi gesti dei servizi e delle forze armate d’Israele contro dirigenti palestinesi.
Lo squadrismo – neologismo che nacque all’epoca indicante la pratica e la teorizzazione delle squadre, e il loro “diritto-dovere” di “salvare l’Italia” dai “bolscevichi” – non fu soltanto lo strumento con cui Mussolini e i suoi “ras” cancellarono tutte le forze non fascista, ma fu anche il mezzo di assalto allo Stato liberale, intimidito e complice, o, se si preferisce, vittima connivente del fascismo, rispetto al quale molta parte delle élites dirigenti ritenevano di poter esercitare una moral suasion, per “costituzionalizzarlo”, una volta che avesse fatto il “lavoro sporco”, ossia bastonare i socialisti e i comunisti (ma anche non pochi cattolici giudicati pericolosamente vicini ai “rossi”, in quanto, come loro, difendevano i braccianti). Sappiamo come andò a finire.
E se anche con la Lega, zoccolo duro del nuovo fascismo, nella sua veste più trucida e rozza, finisse allo stesso modo? Se ancora una volta la classe dirigente – non solo quella sedicente liberale, ma buona parte pure di quella di sinistra – ritenesse di poter addomesticare una forza eversiva, per poi trovarsene vittima? Se la politica della paura, così astutamente gestita dai leghisti, con, accanto, i postfascisti, e quasi tutto il PdL, trasformasse la maggioranza del popolo italiano in una massa di fanatici razzisti e xenofobi? Se la compiacenza delle forze politiche, il silenzio in troppi casi delle cosiddette “massime autorità dello Stato”, seguissero la polica del laissez faire, laisser passer, a quale scenario andremmo incontro? Dunque, la Lega Nord – Padania, già a suo tempo organizzò le “camicie verdi”, che parvero un esempio di stolto folclore. Intanto il leader parlava di secessione e di milioni di fucili pronti a entrare in azione. Risate generali. E l’azione del carro armato con le insegne della Serenissima a Venezia? Per tanti commentatori, una goliardata…
Ebbene, ora la Lega passa all’incasso. E abbiamo legalizzato l’illegalità sotto specie di “ronde padane”; sulle quali però il ministro dell’Interno, che è ritornato allo stadio ottocentesco di “ministro di Polizia”, ci rassicura: intanto aderiscono anche Destra-Fiamma Tricolore e Alleanza Nazionale, e aspettiamo il PdL; e dunque non sono uno strumento di partito, ma nazionale (ma come? Non “padano”?); ma, sopratttutto, invita a «non chiamarle ronde, ma volontari per la sicurezza».
Bene. Forse è il caso di ricordare, a chi storce il naso quando si parla (come personalmente sto facendo da tempo) di “rischio fascismo”, che dopo l’ascesa al governo del loro Duce, le Camicie Nere furono “costituzionalizzate” e divennero a tutti gli effetti un corpo militare dello Stato: e come furono chiamate? Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Uno Stato che rinuncia al monopolio della forza, non è più tale: in una situazione come quella italiana attuale, in cui un terzo del territorio nazionale è già di fatto sottratto al controllo dello Stato, ed è invece saldamente nelle mani della grande criminalità organizzata; in una situazione in cui l’illegalismo sotto ogni forma è la regola universale di comportamenti, dal presidente del Consiglio all’ultimo rivendugliolo che bara sul peso della merce, o ti rifila prodotti avariati, o non rilascia lo scontrino fiscale…; una situazione in cui lo scempio del paesaggio è tollerato o incoraggiato dai condoni edilizi; una situazione in cui l’evasione fiscale raggiunge cifre superiori, probabilmente, ai 100 miliardi di euro l’anno; una situazione in cui, le accennate politiche della paura stanno creando un clima odioso e intollerabile non soltanto per gli “stranieri”, ma anche per quegli italiani, non pochi, sebbene minoranza, che ormai si sentono “stranieri in patria”; ebbene, in tale situazione, lo Stato, divenuto compiutamente comitato d’affari dei gruppi dominanti, non pago di ostentare il suo volto feroce con soldati in assetto di guerra, dà licenza (illegale) di “segnalare” situazioni di pericolo, ma anche di intervenire, avendo armi – spray, e manganelli, pare – a “volontari” (ex carabinieri ed ex poliziotti, come se questo fosse una garanzia per il cittadino!) per garantire la “sicurezza nazionale”. Ancora una volta lo Stato liberale è pronto a fare seppuku? Ossia (per usare un termine da noi più diffuso) harakiri?
*Angelo d’Orsi, allievo di Norberto Bobbio, è professore di Storia del pensiero politico all'Università di Torino. Ha promosso la costituzione dell’associazione culturale per il diritto alla storia, “Historia Magistra” (www.historiamagistra.com).
Ha fondato il FestivalStoria di cui è direttore (www.festivalstoria.org).
Scrive su “La Stampa”, “Liberazione” e “Il Manifesto”.