Gli scienziati dell’ONU hanno stilato un documento impressionante sulla crisi climatica del nostro pianeta, approvato dai rappresentanti di 195 paesi, dopo avere studiato un numero incredibile di documenti e di dati. Questa forte denuncia arriva in tempo per il vertice sul clima che verrà presieduto a novembre dall’Italia e dal Regno Unito e pretende decisioni coraggiose sulle politiche per il clima, anzitutto da parte dell’Unione Europea, che ha presentato un pacchetto di proposte sotto il titolo Fit for 55 che premono l’acceleratore sulle misure per l’ambiente.
Il clima sta cambiando in modo impressionante sotto i nostri occhi. Ne stiamo vedendo gli effetti ogni giorno. La pioggia in Groenlandia, caduta dove cadeva neve, ne è un episodio impressionante. Se non verrà fermata la deriva clima-alterante provocata dall’aumento della CO2 e da altre cause concorrenti come l’aumento del metano in atmosfera, la situazione – già grave – peggiorerà drasticamente. Non occorre esagerare dipingendo un futuro apocalittico, il rischio concreto è che la vita degli esseri viventi, a partire dagli umani, sulla terra cambi in modo irreversibile e il pianeta diventi sempre più inospitale. Per questo occorre il coraggio di prendere le iniziative necessarie in tempi rapidi per bloccare l’alterazione del clima, a partire dalla temperatura.
Per raggiungere questi risultati occorrono scadenze precise e impegni concreti.
Invece, malgrado l’allarme sia forte e chiaro, le reazioni alle recenti proposte di interventi ulteriori della Commissione europea sono preoccupanti. Partendo da una preoccupazione di facciata per i costi sociali degli interventi si vogliono nascondere i costi enormi, non solo economici, senza forti interventi correttivi. Esponenti importanti del mondo delle imprese e del governo pur partendo da un omaggio formale agli obiettivi contenuti nel PNRR in realtà hanno l’obiettivo di usare le risorse del PNRR ma di rinviare il più possibile le innovazioni a cui quei finanziamenti dovrebbero essere legati, con il rischio concreto che l’Italia non rispetti i target previsti. Nelle settimane trascorse il partito del rinvio si è manifestato con chiarezza. Economisti, imprenditori – anche di aziende partecipate dallo Stato -, ministri del governo Draghi hanno messo piombo nelle ali dell’innovazione e della transizione ecologica, ad esempio sulla produzione energetica, sulla mobilità sostenibile.
È chiaro che occorre cambiare profondamente il modello di sviluppo economico attuale, altrimenti il clima arriverà ad un punto di non ritorno. È chiaro che per realizzare gli obiettivi occorre che i soggetti più sensibili e convinti si debbono impegnare fortemente per superare le resistenze evidenti all’innovazione. Questo non vuol dire che non ci siano problemi da affrontare. Ad esempio sono necessarie politiche di occupazione che accompagnino il passaggio dal sistema economico oggi prevalente a quello futuro. Un conto è prepararsi al cambiamento e pretendere le innovazioni conseguenti, altro è cercare di frenare, pur sapendo che il tempo stringe, senza lasciare spazio a rinvii. C’è perfino chi si appresta a sostenere che occorre rinviare la scadenza del 2025 per chiudere le centrali a carbone. Il PNRR ha cercato di declinare le novità della transizione ecologica sotto forma di bandi e finanziamenti, ma le resistenze al cambiamento sono forti e possono essere vinte solo con una chiara e forte battaglia di scelte politiche indicate con chiarezza per innovare lavoro, investimenti, ricerca, istruzione, welfare.
Questa chiarezza non c’è e lascia spazio all’emergere delle resistenze conservatrici, alla politica dei rinvii, a quelli che del PNRR vogliono i quattrini senza impegnarsi ai cambiamenti imposti dalla crisi climatica. Il ministro Cingolani è sembrato sensibile alle resistenze e all’invito a rallentare, quasi fossimo già su un treno ad alta velocità, mentre in realtà siamo ancora in attesa di decidere l’inizio del viaggio. Il ministro Giorgetti dipinge scenari a tinte fosche che sembrano avere l’unico obiettivo di rallentare le innovazioni, di cui per ora si parla soltanto. Né il governo chiede a Stellantis quali scelte intende compiere per radicare il cambiamento e prepararsi al superamento della mobilità fondata sui motori tradizionali. Naturalmente tutti i frenatori dichiarano di essere preoccupati per le conseguenze occupazionali e sociali. Fanno bene ad essere preoccupati, ma potrebbero iniziare dall’autocritica sul frettoloso sblocco dei licenziamenti e soprattutto studiare con i sindacati come minimizzare i rischi e chiedere le innovazioni necessarie di accompagnamento al cambiamento.
Colpisce che nessuno proponga di avere in Italia un nucleo forte di innovazione, in grado di essere esempio per altri paesi. I confronti internazionali servono solo per giustificare rinvii e ritardi. Il governo sembra in difficoltà. Certo ha ottenuto un primo finanziamento europeo sul conto PNRR. Questo va bene, ma ora occorre entrare nel merito delle scelte e iniziare ad attuarle, altrimenti anche i finanziamenti si fermeranno, altrimenti la cabina di regia del PNRR a cosa serve? L’energia è un primo decisivo banco di prova. Se ascoltiamo Eni non arriveremo mai a una scelta di fondo sulle rinnovabili. Basta dire che con questo ritmo ci metteremo tutto il secolo ad avere l’energia necessaria prodotta dalle rinnovabili, mentre nel 2035 dobbiamo avere un abbattimento di CO2 del 55% e nel 2050 non produrne più. Eni continua a fare contratti per forniture di gas, non si impegna nelle rinnovabili e si fa pubblicità sulle maree come fonte di produzione energetica, che sembra un parlare di altro. Occorre un piano organico, per fotovoltaico, eolico in particolare off shore, per altre fonti rinnovabili, per l’uso dell’idroelettrico per stabilizzare la rete elettrica con i pompaggi, senza trascurare possibili miglioramenti produttivi. Senza un progetto con date e quantità e soldi anche le dichiarazioni altisonanti sono solo tigri di carta. Invece abbiamo in concreto le aste del capacity market, promosse da Terna, un bengodi per le aziende energetiche partecipanti, pagate dalle bollette dei cittadini, per produrre poco ma con il rinvio inevitabile del raggiungimento degli obiettivi di riduzione della CO2, visto che anche il gas ne produce. Meno del carbone, ma ne produce.
Qual è la vera politica del Governo? Cosa propone alle aziende a partecipazione pubblica per garantirsi il loro contributo nella realizzazione degli obiettivi?
Ora l’assetto di guida del PNRR sulla transizione ecologica – bene o male – è definito, le risorse sono ingenti, manca un chiarimento politico del governo e in particolare del presidente del Consiglio che ha il compito di guidare la squadra. Le risorse del PNRR servono a cambiare o a richiamare in vita il gattopardo che come è noto in Italia ha quasi sempre prevalso? Qual è il progetto-paese? Altrimenti le risorse ingenti a disposizione faranno la fine dell’acqua sulla sabbia e i poteri che non vogliono cambiare prevarranno. Per una volta che la Commissione europea ha avuto coraggio, sarebbe bene che anziché svolgere un compito di conservazione l’Italia mettesse le sue energie migliori sul versante dell’innovazione e del coraggio e questo nelle condizioni attuali è un compito che tocca anzitutto al governo e a chi lo guida: sono stati chiesti poteri e risorse, ora li hanno, se la transizione fallirà il governo non potrà chiamarsi fuori.