“Alcuni cambiamenti sono ormai irreversibili, altri hanno raggiunto una velocità mai vista prima, il livello dei mari cresce a un ritmo triplo rispetto al XX secolo. Se non invertiamo immediatamente la rotta per bloccare le emissioni di gas serra, la temperatura della Terra salirà oltre la soglia esiziale di 1.5°C nei prossimi venti anni”. Lo denuncia l’IPCC – il Gruppo Intergovernativo delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico – nel suo ultimo rapporto Climate change 2021: the Physical Science Basis appena presentato a Ginevra. Le conseguenze già adesso sono devastanti ovunque nel mondo.
A rischio è il nostro presente, non solo il futuro. Abbiamo urgente bisogno di riduzioni immediate delle emissioni di gas serra per limitare l’aumento della temperatura che ci sta spingendo come mai prima d’ora verso il collasso climatico. Allo stesso tempo dobbiamo ridurre i prelevamenti di materie prime, di risorse naturali e tutelare i servizi ecosistemici. Solo così possiamo rientrare nelle capacità di autorigenerazione e autorganizzazione del nostro pianeta. Siamo noi che dobbiamo adeguarci alla Terra se vogliamo sopravvivere e prosperare, non viceversa come pensano i sostenitori della crescita economica infinita.
Concretamente significa cambiare il paradigma culturale e il sistema economico dominante, per riconvertire attività produttiva e filiera energetica, così da rimanere dentro i limiti posti dalle capacità bioriproduttive della Terra. L’IPCC con il suo ultimo report mette a disposizione ulteriori evidenze della relazione tra emissioni prodotte ed eventi climatici estremi, inchiodando industria dei fossili e governi come i diretti responsabili della drammatica situazione che espone tutti e tutte a rischi mai visti prima d’ora per la specie umana. La crisi ecologica, quindi, non può essere ridotta a una questione di vita individuale come spesso vorrebbero farci credere. Questa lettura alimenta derive elitarie e semplificazioni utili solo ad allontanarci dal risolvere i problemi e dall’individuare i maggiori responsabili. Sono le élite economiche e finanziarie, le lobby del fossile, insieme alle classi dirigenti politiche a essere le maggiori responsabili dell’inazione e delle ingiustizie ecologiche.
Quest’anno al nostro Paese viene assegnata la presidenza del G20 e la vicepresidenza della COP26. Significa avere un ruolo molto importante per contribuire a cambiare in meglio il corso della storia. Purtroppo, il governo Draghi sta ampiamente dimostrando di fare innanzitutto gli interessi dei grandi inquinatori, a partire dall’ENI. Il Governo italiano riconosce il rischio posto dalla crisi ecologica ma non vuole cambiare il modello responsabile del disastro perché ne è prodotto, continuità ed espressione. Abilmente, attraverso la comunicazione, si mostra vicino ai nostri argomenti ma nell’ora delle scelte, come sui fondi del PNRR, a guidare è la mano visibile degli interessi delle élite economiche e finanziarie che controllano il mercato. Il Governo conosce i limiti e l’insostenibilità del modello capitalista ma pur di non intaccarne le rendite e i profitti (“altrimenti sarebbe un bagno di sangue”, come sostenuto da Cingolani), spaccia come soluzioni la crescita verde e l’innovazione tecnologica. Peccato che il “disaccoppiamento” immaginato dai teorici della crescita verde sia impossibile, come ampiamente confermato dal report pubblicato nel 2019 dall’European Environmental Bureau (EEB), una rete di oltre 143 organizzazioni con sede in più di 30 Paesi.
Così come non risolve il problema l’innovazione tecnologica, visto che le strategie produttive basate sull’efficienza devono essere integrate dalla ricerca della sufficienza, ovvero da un «ridimensionamento della produzione economica in molti settori e una riduzione parallela del consumo, che insieme consentiranno un buon vivere entro i limiti ecologici del pianeta». I trucchi e le narrazioni del Governo non risolveranno i nostri problemi, non garantiranno la nostra salute, il nostro lavoro, i nostri territori, la nostra biodiversità, le nostre vite. Anzi, peggioreranno la situazione.
La riforma della giustizia appena varata dal Governo Draghi, che rende non perseguibili i reati ambientali, va infatti in questa direzione. Non contemplare i delitti contro l’ambiente tra i reati gravi è l’esito della cosiddetta riforma Cartabia, a conferma degli interessi che il Governo Draghi difende davvero. E non è una buona notizia per la democrazia. Perché da quando anche nel nostro Paese i delitti contro l’ambiente sono stati riconosciuti nel 2015 come crimini, migliaia sono state le inchieste, le persone denunciate, centinaia i procedimenti penali e le indagini in merito. Tutto questo lavoro, questa consapevolezza sulla relazione tra ingiustizie e reati ambientali, questo percorso di disvelamento della verità necessario alla memoria collettiva del Paese, verrà spazzato via.
Grazia alla riforma Cartabia centinaia di processi saranno prescritti, salvaguardando ancora una volta gli interessi economici dei grandi inquinatori e distruttori del nostro Paese. Una scelta precisa quella del governo Draghi. Stupisce che qualcuno che si definisce ambientalista, ecologista o di sinistra si stupisca ancora. Va bene credere alla favola del Draghi verde ad aprile. Ma proprio i fatti accaduti in quel mese avrebbero dovuto riconnetterci con la realtà delle cose, purtroppo lontana dai nostri desideri e dalle nostre pigrizie.
Quello che colpisce, è che la “deformazione” della giustizia viene portata avanti proprio nei giorni in cui pezzi di Paese stanno andando in fumo, gli eventi meteorologici estremi sono diventati la normalità, il riscaldamento climatico è da noi due volte più veloce rispetto alla media globale e la desertificazione avanza sino a mettere in discussione un terzo del nostro territorio.
Evidentemente, per il Governo Draghi non sono priorità della giustizia italiana le 66 mila persone che muoiono ogni anno prima del tempo a causa dell’inquinamento dell’aria, il degrado del territorio, la perdita delle funzioni dei nostri ecosistemi che continuano a un ritmo catastrofico di quasi due metri quadrati ogni secondo e di aree agricole e naturali, sostituite da nuovi cantieri, edifici, infrastrutture o altre coperture artificiali.
Evidentemente per il Governo Draghi non è priorità della giustizia garantire la nostra biodiversità, la vera ricchezza di cui disponiamo, né difendere i nostri ghiacciai che arretrano di un metro l’anno (di questo passo a fine secolo non esisteranno più). Così come non è una questione di giustizia, né una priorità, intervenire per limitare il rischio di nuove pandemie causate dall’alterazione di nuove patologie come il Covid-19, nonostante sappiamo dal 2007, grazie all’OMS, alle ricerche di molte università e alle Agenzie delle NU, come queste siano conseguenza diretta del collasso climatico e della riduzione della biodiversità.
Ogni anno in Italia la contabilità dei costi sociali e umani collegati alla crisi ecologica è sempre peggiore. Per avere un’idea, solo se consideriamo il rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” presentato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, parliamo di «un costo complessivo compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro, in pratica la metà del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quello che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere a causa della perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030».
Quali sono state le scelte del Governo Draghi in questo contesto e di fronte ai dati delle Agenzie delle Nazioni Unite? Eliminare i reati ambientali e investire sul ponte sullo Stretto (incredibile che ancora se ne parli), l’alta velocità, gli allevamenti intensivi, il gas (una fonte non rinnovabile), la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici. Dietro la parola “green” con cui sono stati presentati alcuni progetti, rimane solo il “dark”. Sfruttando la debolezza della politica, le complicità dei media e l’egemonia culturale costruita dalle destre in questi anni, il Governo Draghi è riuscito dove Berlusconi aveva fallito: rendere improcedibili anche i reati ambientali. Sono stati messi in sicurezza solo gli interessi delle élite che sulle disuguaglianze sociali e ambientali costruiscono oggi i loro ricatti e le loro fortune. Non solo business as usual, ma un cambio nelle forme della politica e del potere che erodono e corrompono quotidianamente la nostra democrazia, deformandola nei suoi principi.
Il sistema con Draghi blinda le istituzioni per tutelare i propri interessi. Continuare a far finta di niente, chiedendo al Governo di ascoltare, come se fosse un Governo amico, rafforza solo la rabbia sociale che non trova sbocco e rappresentanza. Gli appelli non bastano più. Così come le richieste di correzione in corsa, incapaci di incidere davvero. Non abbiamo bisogno di un ambientalismo subalterno al liberismo economico. Sarebbe inefficace e ostacolerebbe la diffusione dei movimenti per la giustizia ambientale ed ecologica, vera alternativa a questo stato di cose. Il campo attuale non basta più, questo ci dicono le enormi ingiustizie ambientali e sociali nel nostro Paese. Perché non stiamo parlando di “questioni ambientali” ma di garantire l’accesso alle risorse e allo spazio bioriproduttivo per tutti e tutte. Si chiama Giustizia Ambientale, ed è la precondizione per la Giustizia Sociale. Siamo in un nuovo tempo della storia. Per uscire dalle crisi abbiamo la necessità e l’urgenza di cambiare la nostra cultura antropocentrica, patriarcale e colonizzatrice. Dobbiamo riconoscere diritti alla natura. Solo così potremo garantire diritti per noi umani. L’ecologia integrale è la strada per un nuovo patto sociale, per il futuro e per vivere bene tutti e tutte.