Catastrofe emiliana: cementificazione, austerità e vincoli Ue

di Matteo Bortolon and Cristina Quintavalla - lafionda.org - 26/05/2023
I comuni, esautorati dalle loro funzioni di fornitura di servizi ora sono indotti a fare cassa attraverso gli oneri di urbanizzazione. Le politiche regionali dell’Emilia-Romagna fanno da sfondo a tale sfacelo

Rodolfo il Glabro, nelle sue Cronache dell’anno Mille aveva ritenuto, dinanzi alla violenta inclemenza del clima, soprattutto a seguito di inondazioni, che “gli elementi sembravano essere in guerra fra loro: sicuramente essi erano lo strumento di cui Dio si serviva per punire l’orgoglio degli uomini”.

Oggigiorno non siamo arrivati ad attribuire la colpa dei disastri accaduti in Emilia-Romagna all”ira di Dio, ma certo il maltempo, sebbene venga sempre dal cielo, secondo alcuni è prodotto dal cambiamento climatico; secondo altri sarebbe “una calamità naturale”, sostenuta da raffinati argomenti del tipo: “piove quindi gli ecologisti avevano torto”.

La condanna pressoché unanime di polemiche strumentali, volte ad individuare le responsabilità politiche, si salda al commovente appello all’unità nazionale, recentemente ribadito dalla neo-segretaria del PD, sino a un mese e mezzo fa vice-presidente della Regione Emilia-Romagna.

Possiamo plausibilmente sostenere che i disastri avvenuti in Emilia Romagna, come d’altro canto nelle altre regioni nel passato, siano variabili indipendenti da chi governa i territori?

Occorre inoltre stabilire la connessione di tali politiche con il neoliberismo e le sue connessioni con il suo maggiore campione istituzionale su questo continente: l’Unione europea.

 

Cementificazione? “Un passo avanti“!

Iniziamo dal centro del problema per la sua declinazione sul territorio: “Il motivo per cui la pioggia sta avendo conseguenze dannose e a volte letali è presto detto: cade su un suolo asfaltato, cementificato, impermeabilizzato, che non può assorbirne una sola goccia, dunque quest’acqua non solo non rigenera la vita, non solo non ricarica le falde, ma si accumula in superficie e corre via, a grande velocità, travolgendo quel che trova.” Così Wu Ming.

E chi ha operato la cementificazione? “Un passo avanti” è lo slogan con cui Bonaccini vinceva le regionali del 2020, portando la regione ad essere terza a livello nazionale per consumo di suolo, “con più di 658 ettari cementificati in un solo anno: significa che si è registrato oltre il dieci per cento di tutto il consumo di suolo nazionale”.Questo indicano i dati citati da Francesca Giordano, ricercatrice dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che in un’intervista riporta il contenuto dell’annuale rapporto sul consumo di suolo.

Catastrofe emiliana: cementificazione, austerità e vincoli UeChi cementifica di più. Dal rapporto ISPRA 2022

E tuttavia la regione potrebbe facilmente scalare la classifica quando venissero attuate o completate le seguenti opere previste dal PRIT (Piano Regionale Integrato dei Trasporti; attualmente è in vigore la versione PRIT 2025, approvata il 23 dicembre 2021):

  • il passante di mezzo di Bologna, il cui progetto, voluto da Autostrade per l’Italia, prevede il potenziamento fino a 18 corsie di tangenziale e autostrada di Bologna;
  • la Bretella Autostradale Campogalliano-Sassuolo, a favore del grande comparto della ceramica, che passa sulla riva destra del fiume Secchia e duplica la tangenziale che collega Modena a Sassuolo;
  • l’autostrada regionale Cispadana, che collega con una nuova autostrada di 67 Km il casello di Reggiolo-Rolo con il casello di Ferrara sud;
  • la Ti.Bre (Corridoio plurimodale Tirreno-Brennero ), che prevede il collegamento tra A15-A22, di cui il primo lotto, una mostruosa colata di cemento in piena pianura fertile, è già stato realizzato;
  • l’ allungamento dell’aeroporto di Parma da trasformare in cargo.

 

Pianificazione urbanistica? Fatta dai costruttori.

Nel non lontano 2017 un pool di insigni studiosi, urbanisti, architetti in un libretto di poco più di un centinaio di pagine, Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, curato da I. Agostini, denunciarono come gravemente pericolosa la nuova legge urbanistica regionale. Come Cassandre, che provano inutilmente a mettere in guardia i propri concittadini (T. Montanari, Prefazione), le loro voci rimasero inascoltate.

Il provvedimento, infatti, dietro lo slogan del risparmio di suolo prevedeva “un consumo pari al 3% della superficie del territorio urbanizzato” entro il 2050, a cui sommare la quantità di previsioni urbanistiche pregresse, non azzerate dai precedenti piani regolatori.

D’altro canto l’ANCE (Associazione Nazionale Costrutturi Edili) aveva indicato le sue priorità:

  1. salvaguardare gli investimenti economici già in atto
  2. tutelare i legittimi affidamenti fondati sulle previsioni di pianificazione già approvate e per le quali sono state spesso fornite garanzie agli istituti di credito
  3. sostenere la ripresa economica, favorendo nuovi investimenti in coerenza col Patto per il lavoro

(Si veda ANCE Emilia Romagna, Riflessioni e proposte per la definizione della nuova legge regionale sul governo del territorio, 2016, p. 9).

Questa sinergia di intenti tra imprenditori e Regione discende dalla convinzione che l’espansione edilizia sia una leva di crescita, anche se ha originato un’urbanizzazione frammentaria e ingiustificata, ha prodotto grandi opere, drenato risorse pubbliche, privatizzato il territorio, svenduto il patrimonio storico delle città, eroso il suolo agricolo. Come osserva la geografa Paola Bonora: “Il territorio è diventato il cantiere di produzione di valore, ma di un valore che deriva dalla rendita fondiaria […]. Ci troviamo cioè di fronte ad una valorizzazione che non produce e mette in circolo altro valore, ma cristallizza delle rendite e sottende speculazioni di piccola o di grande scala”.

L’ipertrofia edificatoria finalizzata al mercato è espressamente dichiarata: “gli interventi di addensamento e sostituzione urbana” non sono tenuti all’osservanza dei limiti di densità edilizia e di altezza degli edifici: sono infatti attuabili in deroga al D. M. 1444 del 1968 (L. Regionale 24 del 21 dicembre 2017, art. 10, c. 2).

La richiesta dei costruttori di riduzione e semplificazione degli strumenti di pianificazione è stata pienamente accolta: la regione Emilia-Romagna l’ha sostanzialmente smantellata. Il Piano Urbanistico Generale, che diventa l’unico strumento di pianificazione dei comuni per l’uso e la trasformazione del territorio, “non può stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato, né dettagliare gli altri parametri urbanistici edilizi degli interventi ammissibili”.

A chi spetta allora stabilirla? Agli accordi operativi. I vigenti strumenti urbanistici sono stati sostituiti da tali accordi promossi dai privati, attraverso la procedura di silenzio-assenso, che i Comuni sono costretti a subire. “I privati possono avanzare le loro proposte circa le previsioni del vigente PSC da attuare attraverso accordi operativi” ( L. Regionale 24 del 21 dicembre 2017, art. 4, c. 3). La sostituzione della pianificazione urbanistica con la contrattazione tra pubblico e privato su proposta di quest’ultimo va approvato entro 60 gg…

E’ il trionfo del neoliberismo: tutto è conferito all’iniziativa dei costruttori, che vengono sostenuti dagli enti territoriali a rendere economicamente convenienti tali operazioni, attraverso la diretta negoziazione della disciplina urbanistica.

La causa a monte di tutto ciò è la primazia dell’orientamento di politica finanziaria conseguente al rispetto dei famosi parametri di Maastricht incarnati nel Patto di Stabilità e di Crescita (PSC).

 

Politiche Ue: austerità e strangolamento enti locali

La l. 448/98 introduce la necessità di conformarsi al PSC nell’ordinamento italiano, facendo ricadere le conseguenze sugli enti locali che devono partecipare agli equilibri dei vincoli europei. Impone interventi correttivi molto pesanti per eventuali deficit e l’uso di ogni margine di avanzo per ridurre il debito. Si opera con tre strumenti:

  • Taglio dei trasferimenti agli enti locali: oltre 30 mld dal 2009-15, sebbene ad essi faccia capo solo il 2% del debito nazionale. Per esempi il fondo per le politiche sociali è stato tagliato del 58%;
  • Patto di stabilità interno: 5 mld € non utilizzati nelle casse dei comuni italiani;
  • Spending review con forti limiti alla spesa.

A fronte di ciò si assiste all’aumento della tassazione locale: i tributi locali fra il 2008-18 hanno i maggiori aumenti.

Gli enti locali, così messi alle strette e privi di un credito facilitato (la Cassa Depositi e Prestiti era destinata a fare loro prestiti a tassi più bassi, ma è stata gradualmente ricondotta a parametri di mercato, concorrendo alla pari con le banche) si trovano integrati in processo di abbandono e dismissione delle politiche pubbliche. Alienazioni e privatizzazioni vengono vengono scaricate sui Comuni e le società partecipate dallo Sblocca Italia e dalla Legge Madia, oltre che da varie leggi di stabilità, che consentono loro di pagare i loro debiti coi ricavati di tali cessioni. Cosa rimane loro da fare? I comuni, esautorati dalle loro funzioni di fornitura di servizi a seguito di tutto ciò sono indotti a fare cassa attraverso gli oneri di urbanizzazione. Le politiche regionali dell’Emilia-Romagna fanno da sfondo a tale sfacelo. Per inciso la vicepresidenza di Schlein prima della sua elezione a segretario del PD non ha segnato alcun tipo di discontinuità o di svolta.

Se quindi risaliamo la catena delle responsabilità le cause elencate in apertura vedono ciascuna un pezzo del quadro: le precipitazioni si inscrivono in un trend di aggravamento climatico che mettono alla prova le misure di prevenzione e protezione (già al lumicino, è addirittura Open a dare la notizia di 55 milioni che non sarebbe stati spesi dalla Regione ER a causa del Patto di Stabilità); la cementificazione selvaggia amplifica le conseguenze di tutto ciò, ennesima manifestazione della logica profonda delle politiche dominanti sospinte dal braccio istituzionale di esse, cioè la Unione europea.

Aveva ragione il cronista medievale: è ancora colpa di un dio, ma si chiama mammona.

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