Non basta più monitorare i cambiamenti climatici. Bisogna agire subito. Questo, in sintesi, il messaggio che centinaia di migliaia di persone hanno mandato ai rispettivi governi nel corso dello sciopero globale per il clima, invitandoli a considerare la crisi climatica un codice rosso nel proprio triage programmatico.
Il movimento Friday for future di Greta Thunberg, ammirata e vituperata, ha il merito di aver sensibilizzato l’opinione pubblica mondiale, generando una scia di consensi nella quale sono stati risucchiati nuovi movimenti, con vocazioni e ambizioni simili, e metodi ancora più pugnaci.
Come quello denominato Extintcion Rebellion la cui portavoce, ai microfoni del programma radiofonico Nessun luogo è lontano trasmesso su Radio 24 e condotto da Giampaolo Musumeci, avanza tre richieste, molto precise, al governo britannico: “Verità su emergenza climatica, azzeramento di emissioni di anidride carbonica entro il 2025 e istituzione di assemblee di cittadini che possano discutere e votare iniziative, considerato il fallimento nella gestione dell’emergenza da parte della politica tradizionale”. Preannuncia un’enorme mobilitazione in Inghilterra, prevista per il prossimo ottobre, alla quale parteciperanno gruppi pacifisti, movimenti per il disarmo nucleare e associazioni religiose i cui membri “sono disposti a incatenarsi e a bloccare ponti, anche a farsi arrestare”. E chiama tutti all’adunata.
Il legame causale fra gli eventi climatici estremi e l’immigrazione è comprovato e gli stessi scontri, o meglio conflitti, potrebbero crescere proprio in virtù del surriscaldamento globale. Uno studio dell’università di Standford dice che in un mondo più caldo di due gradi i conflitti potrebbero aumentare del 13%, con un incremento di quattro gradi la percentuale salirebbe al 26. Lo scoppio delle primavere arabe trovò nella protesta per il prezzo del pane, cresciuto a causa della scarsità d’acqua, uno dei detonatori principali delle rivolte. Secondo Desireè Quagliarotti, ricercatrice presso l'Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche, “nonostante non possano essere ricondotte ad una matrice unica, è innegabile che la crisi climatica abbia giocato un ruolo importante nelle primavere arabe”.
Come rivelato da uno studio del think thank britannico Institute for Public Policy Research, eventi climatici estremi hanno un forte impatto sul benessere socio-economico, sia a livello locale che globale. Se realizziamo che il 10% della popolazione più ricca del pianeta contribuisce al 90% dell'emissione di gas serra, i cui effetti sono percepiti soprattutto dagli abitanti delle regioni meno sviluppate, è facile intuire su chi dovremmo puntare il dito. Il costo sociale, secondo alcune stime, ammonterebbe a 418 dollari per tonnellata anidride carbonica emessa, in un intervallo di valori che può variare da 177 dollari a 805 dollari.
Il commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha riferito che il 40% delle guerre civili sarebbe causato “dal degrado delle condizioni ambientali”. In alcune zone del Niger la desertificazione spinge i greggi verso i raccolti, causando micro-conflitti tra contadini e pastori. Ed è solo l’inizio. “Se non ci sarà un intervento forte nel 2050 oltre 200 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari per i disastri naturali dovuti al riscaldamento globale” avvisa Francesco Rocca, Presidente della Federazioni Internazionale della Croce Rossa.
Senza andare troppo lontano nello spazio e nel tempo, pensiamo ai milioni di alberi divelti lo scorso autunno in Veneto da un ciclone generato dall’innalzamento di qualche decimo di grado del Mar Mediterraneo, e chiediamoci: cosa succederà quando crescerà di 1 o 2 gradi?
Quanti alberi dovranno cadere ancora per abbattere la convinzione che non ci sia un’emergenza?