Secondo il presidente del Consiglio il TAV si farà. Questa – ha recitato in un irrituale messaggio – è la decisione del Governo. Se il tunnel transnazionale si scaverà o meno lo diranno i prossimi anni, ché da due decenni siamo abituati a decisioni governative irrevocabili che non hanno prodotto nulla, anche per la determinazione e l’intelligenza del Movimento No TAV. Quel che è certo è che lo scontro in Val Susa continuerà e che altre pagine si aggiungeranno a una resistenza quasi trentennale.
Ma intanto conviene analizzare quel che sta accadendo.
Partiamo dal messaggio del precario ospite di palazzo Chigi: «Sono intervenuti fatti nuovi di cui dobbiamo tenere conto […]. L’Europa si è detta disponibile ad aumentare il finanziamento. Per la tratta nazionale l’Italia potrebbe beneficiare del finanziamento del 50 per cento. Ulteriori finanziamenti saranno disponibili grazie all’impegno del ministro Toninelli, che ringrazio pubblicamente. […] Se volessimo bloccare l’opera non lo potremmo fare, condividendo questo percorso con la Francia. Non potremmo confidare sul mutuo dissenso degli altri protagonisti, Francia e Europa. A queste condizioni solo il Parlamento potrebbe adottare una decisione unilaterale viste anche le leggi di ratifica adottate dalle Camere. La decisione di non realizzare l’opera non comporterebbe solo la perdita dei finanziamenti, ma anche tutti i costi derivanti dalla rottura dell’accordo con la Francia. L’impatto finanziario per l’Italia è destinato a cambiare per l’apporto della Unione europea e potrebbe ulteriormente ridursi con la Francia. Il Governo italiano è impegnato con la massima attenzione per questo nuovo riparto che non è ancora garantito. I fondi europei sono soltanto per il TAV, non realizzarlo costerebbe molto più che completarlo. Lo dico pensando all’interesse nazionale, unica stella polare di questo Governo. Questa è la decisione del Governo, ferma restando la sovranità del Parlamento».
Difficile concentrare in una dozzina di righe tante fake news e contraddizioni. Tre i fatti asseritamente nuovi che, secondo il premier per caso, avrebbero imposto questa “non voluta virata”: l’impossibilità di un recesso dall’opera senza una decisione del Parlamento; una sopravvenuta riduzione dei costi a nostro carico (grazie all’aumento dei finanziamenti europei e alla revisione della ripartizione tra Italia e Francia); i costi derivanti dalla rottura dell’accordo con la Francia. C’è da restare sbalorditi: che le decisioni finali sull’opera debbano infine passare dal Parlamento è semplicemente ovvio ma altrettanto pacifico è che il percorso preparatorio di tali decisioni (esteso al se e al quando) competa ai Governi, come dimostra il fatto che la Francia ha deciso in piena autonomia di rinviare a dopo il 2038 l’eventuale inizio della propria tratta di adduzione; che l’aumento del finanziamento dell’Europa (di competenza della prossima Commissione) e la revisione dei contributi di Italia e Francia siano, allo stato, delle semplici ipotesi lo dice lo stesso Conte (per non parlare dei fantasiosi e misteriosi finanziamenti a cui sta lavorando il ministro Toninelli: sic!); quali siano i “costi” verso la Francia del recesso dall’opera il presidente del Consiglio non dice (non per caso ma perché, semplicemente, non esistono). Ma ancor più sbalordisce il fatto che l’ineffabile premier non abbia detto una parola sull’inutilità dell’opera, sui danni ambientali da essa prodotti, sullo spreco di denaro pubblico che la sua realizzazione comporterebbe, sull’analisi costi benefici disposta dal suo Governo, sul modello di sviluppo in cui il TAV si inserisce e via elencando. Dopo un anno di melina, tutto è diventato più chiaro: si è deciso così non perché ci siano dei fatti nuovi ma perché questo chiedono i poteri forti del Paese e chi oggi, più di ogni altro li rappresenta, cioè Salvini e la Lega (in accordo con la sedicente opposizione). Con buona pace del Governo del cambiamento…
Ma la vicenda del TAV non conferma solo il ruolo di Conte come controfigura e garante dell’establishment trasversale che governa, nella realtà, il Paese. Essa dice molto anche sul Movimento 5Stelle e sulle sue (inesistenti) prospettive. «L’ultimo chiodo che manca alla bara del Movimento delle origini (e cioè l’assenso al TAV in Val di Susa) sembra prossimo»: così scriveva un paio di settimane fa su queste pagine Tomaso Montanari. Ed è stato facile profeta.
La Nuova linea Torino-Lione non è solo un treno: è – come abbiamo scritto più volte (vedi, da ultimo, TAV e grandi opere, movimento 5stelle e vecchia politica) – il simbolo di un modello di sviluppo insensato che ha portato il Paese nella crisi attuale e che, nel giro di pochi anni, produrrà la catastrofe climatica le cui avvisaglie sono sotto gli occhi di tutti. L’opposizione a questo modello è stato uno dei punti fondanti del Movimento 5Stelle. Per questo il via libera al TAV da parte del Governo gialloverde non è una semplice sconfitta su un punto specifico ma costituisce un colpo mortale alla ragion d’essere del Movimento, che sempre più si conferma nel ruolo di servo sciocco di Salvini e della Lega. Di una Lega, per di più, impegnata in una poco nobile gara con il PD per la conquista del primo posto nel numero di esponenti nazionali e di amministratori locali inquisiti o arrestati per fatti di corruzione o malcostume (anche qui con il travolgimento dell’altro mantra fondativo pentastellato rappresentato dallo slogan “onestà, onestà!”).
Non bastano alcune schermaglie verbali all’insegna di un vecchio detto piemontese che, tradotto in italiano, suona più o meno come «me ne ha date ma gliene ho dette!». E non ha alcun senso politico la linea su cui si è attestato il capo politico del Movimento secondo cui, se non si ha la maggioranza assoluta bisogna farsene una ragione (limitandosi a chiedere un dibattito parlamentare in cui affermare orgogliosamente le proprie ragioni e restare sconfitti, adeguandosi poi, con la coscienza in pace, ai desiderata della maggioranza…). Da che mondo è mondo non si può governare con chi la pensa, su temi fondamentali, in modo opposto al tuo (e ti rinfaccia continuamente di essere più forte e di poter imporre il proprio punto di vista). Da che mondo è mondo le battaglie politiche si fanno in modo chiaro e leggibile e non con contorcimenti tattici incomprensibili ai più. Il Movimento 5Stelle è in caduta verticale di credibilità e di consensi, come dimostrano i voti nelle ultime tornate elettorali e i sondaggi di ogni colore. Come soggetto portatore di cambiamento è irrimediabilmente finito. Solo un sussulto di coerenza e di dignità, con conseguente uscita dal Governo, può salvarlo da una sparizione totale e ridargli, nel futuro, un ruolo, seppur assai ridimensionato rispetto alle origini.
In ogni caso la crisi di governo è alle porte e si tornerà al voto non troppo in là (nell’ipotesi più realistica a primavera 2020). È facile prevedere che l’emorragia di voti dei 5Stelle premierà ancora Salvini, a meno che qualcosa di nuovo si affacci all’orizzonte…