Esercitazioni militari in larga scala della Nato a Campo Teulada in Sardegna con impiego di mezzi pesanti e artiglieria. I gruppi pacifisti sardi protestano e lanciano una manifestazione il 2 giugno
Elicotteri da combattimento Tiger che proteggono il fronte di avanzata dei carri armati Leopard, duemila uomini in armi schierati sul terreno, 500 mezzi a supporto. A Capo Teulada è guerra. Si spara da giorni. Si spara una quantità di munizioni impressionante.
Contro le coste del sud Sardegna una tempesta di fuoco senza precedenti. È l’esercitazione Nato “Noble Jump, in corso dal 27 aprile a Capo Teulada, uno dei tanti poligoni che occupano la Sardegna (il sessanta per cento del demanio militare italiano è nell’isola). Terminata, il 14 maggio, “Noble Jump”, una settimana dopo partirà “Joint Stars”, un’altra mega esercitazione, questa riservata solo alle forze armate italiane.
Contro tutto questo e per chiedere che la Sardegna sia liberata da basi e poligoni il gruppo antimilitarista “A Foras” ha convocato per il 2 giugno, festa della Repubblica, una manifestazione di protesta a Cagliari. Aderiscono tutte le sigle del movimento pacifisita sardo.
“Basta esercitazioni: i poligoni militari sardi devono essere riconvertiti in chiave turistica”. È il messaggio che arriva dal collettivo di A Foras, che si batte da anni contro quella che definisce “una vera e propria occupazione militare della Sardegna”. In un incontro con la stampa tenutosi venerdì 19 maggio a Teulada proprio davanti all’accampamento dei militari Nato impegnati nella Noble Jump, gli attivisti di A Foras hanno annunciato che attenderanno la fine di tutti i giochi di guerra per organizzare la manifestazione del 2 giugno a Cagliari, per la festa della Repubblica.
“Protestiamo contro la mega esercitazione della Nato, che ha portato nella nostra isola migliaia di militari con uno spiegamento enorme di mezzi e il bombardamento di ampie porzioni del poligono di Teulada, anche di quelle aree non sottoposte normalmente a esercitazioni di tiro a fuoco – spiega Pierluigi Caria di A Foras – Vediamo la nostra terra diventare sempre più strumento per la guerra, mentre invece bisognerebbe andare verso un utilizzo in chiave turistica che porterebbe un ricavo più alto rispetto a quel poco che arriva dalle manovre militari”.
La scelta della manifestazione proprio il 2 giugno è stata fatta per “denunciare che la guerra non viene fatta solo all’interno dei poligoni e non solo quando c’è l’attenzione di tutti i media sulla nostra isola, ma una grandissima percentuale del nostro territorio, anche cittadino, è occupata militarmente per tutto l’anno”.
Da qui la decisione di organizzare un corteo “pacifico e gioioso” a Cagliari attorno alla Sella del Diavolo, da Marina Piccola a San Bartolomeo. Appuntamento alle 18 per un percorso di poco meno di due chilometri nei tratti di strada normalmente aperti alla circolazione in mezzo alle caserme e servitù militari.
I sardi hanno netta la percezione di una guerra portata da fuori in casa loro senza che l’isola abbia avuto a riguardo la più piccola voce in capitolo. E giustamente protestano. Fuori dalla Sardegna, invece, le proporzioni e la gravità di quanto sta accadendo in questi giorni a Teulada e a Quirra non si percepiscono minimamente.
C’è l’aspetto ambientale, una devastazione del territorio che va avanti da decenni e che per gran parte dei luoghi coinvolti è irreversibile. C’è l’aspetto della salute, con un inquinamento che fa schizzare verso l’alto l’indice delle patologie tumorali. C’è l’aspetto del vulnus gravissimo prodotto a danno dell’autonomia di una comunità che, per effetto delle servitù militari, vede gran parte della terra su cui vive sottratta al controllo democratico e consegnata alle logiche di una mostruosa macchina militare.
Un ordine che fa della natura deserto, uccide sistematicamente per inquinamento da polveri sottili e da uranio impoverito, precipita una regione intera in una condizione neo-coloniale, che ordine è? È una domanda che non riguarda soltanto i sardi e la loro isola, ma tutti, proprio tutti. Una domanda che getta una luce sinistra sulla natura di un sistema che sempre di più mette al suo centro la guerra.
Costantino Cossu