Se è vero che il diavolo sta nei particolari allora la legge sulla autonomia differenziata è piena di particolari diabolici. Per fare a pezzi l’Italia usa mille modi, non ultimo andando all’attacco di natura, suolo e paesaggio, proprio mentre l’Europa approva la “Nature Restoration Law”. Antonio Cederna avrebbe marchiato tutto ciò con il suo “vandali in casa”.
Torniamo però ai particolari diabolici perché nella tossicità di leggi del genere questi contano e non vanno trascurati. Quelli che a prima vista sembrano piccoli tecnicismi su cui non vale la pena discutere ora, alla prova dei fatti sono potenti crepe che tirano giù tutto e spesso sono proprio loro gli artefici più efficienti del disastro. Come avevamo già denunciato allibiti, alle Regioni sarà trasferita anche la competenza sulla tutela degli ecosistemi, il noto punto s) dell’articolo 117 della Costituzione. La legge ha deciso che anche per la tutela degli ecosistemi dovranno essere fissati dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni (art. 3, c. 3). Ecco la fessura diabolica. Innanzitutto, la parola “prestazione” è di per sé odiosa oggi ma accostata agli ecosistemi diviene un obbrobrio inguardabile che svela l’idea mercenaria della natura nella testa del governo.
Chi ha deciso di applicare i Lep agli ecosistemi non deve aver chiaro che cosa siano e come funzionino. Il più scarso tra gli ecosistemi è titolare di decine di migliaia di “prestazioni”. Di conseguenza, quale tra le tante sarà scelta? Ad esempio, tra le “prestazioni” del suolo, quale sarà considerata essenziale? La capacità d’uso? Il tenore di biodiversità? La permeabilità? Il grado di saturazione? Il livello di salinizzazione? Che cosa? E quale sarà la soglia limite di riferimento? E poi il Lep sarà il medesimo per tutte le Regioni o no? In Lombardia sarà la capacità d’uso dei suoli e in Umbria la biodiversità? Ma poi, la prestazione diabolica di cui si parla sarà prestazione dell’ecosistema verso se stesso o verso noi umani, cronici predoni di natura? Insomma, un bosco avrà buone prestazioni se produrrà buon legno da ardere o da costruzione o se garantirà biodiversità ospitando sempre più specie di uccelli?
Ma le diavolerie non finiscono qui. C’è la patata bollente di chi deciderà i Lep. E come li monitorerà. La legge ne parla all’articolo 3 dove vengono concessi 24 mesi al governo in carica per definire i citati “livelli essenziali”. Le Regioni vengono sentite tramite l’acquisizione di un parere della Conferenza delle Regioni (non si capisce se vincolante o meno. Bizzarro, perché con una mano si vuole l’autonomia delle Regioni, con l’altra non sono le Regioni a decidere: vai a capire). Insomma, a stabilire i Lep saranno i politici della maggioranza di governo. Sempre loro. Non si fa ovviamente alcun cenno al ricorso a esperti, men che meno indipendenti (non sia mai che le cose vadano in direzioni impreviste), che nel caso della tutela degli ecosistemi sarebbero ecologi, naturalisti, forestali, pedologi, entomologi, climatologi, etc. Nessun esperto all’orizzonte, per ora dobbiamo digerire il fatto che i Lep sulla tutela degli ecosistemi saranno decisi da chi non è detto sappia qualcosa di ecosistemi, di suolo, di alberi, di come funziona una frana o un fiume.
Se è questa l’autonomia che volevano c’è solo da disperare, perché con queste premesse poggia i suoi piedi nell’ignoranza ecologica. Altre fessure diaboliche? Il non senso della norma lo ritroviamo nella figura di chi, fondamentale, dovrà monitorare i Lep (articolo 3, comma 4): “l’attività di monitoraggio è svolta dalla Commissione paritetica”. A spiegarci i dettagli diabolici di che cosa sia e come funzioni questa commissione è l’articolo 5. Partiamo dalla sua composizione: “per lo Stato, un rappresentante del ministro per gli Affari regionali e le autonomie, un rappresentante del ministro dell’Economia e delle finanze e un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti e, per la Regione, i corrispondenti rappresentanti regionali, oltre a un rappresentante dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e un rappresentante dell’Unione delle province d’Italia (Upi)”. Ci risiamo. Non solo i Lep sono decisi dai politici della maggioranza al governo, ma sono sempre loro a monitorarli incaricando loro fiduciari.
Controllato e controllore coincidono con perfetto stile antidemocratico e contravvenendo alla regola base di ogni valutazione ambientale, la quale dovrebbe aiutare il decisore a correggersi non a spalleggiarsi l’un l’altro. Con quella formula, addio alla efficacia di qualsiasi Lep. Peraltro, tutti questi politici che si infilano in commissioni tecniche è un’altra contraddizione sonante visto che loro stessi ogni volta che parliamo di suolo, spiegando le questioni scientifiche ed ecologiche, dicono sempre di non essere tecnici. Ma poi quando c’è da presidiare quel che gli interessa, diventano improvvisamente tecnici dentro una commissione. Ma siccome i ravvedimenti e i colpi di coda possono capitare anche tra politici (dagli scilipotisti ai cambiacasacchisti, se ne contano tanti) la legge mette le mani avanti con un altro particolare diabolico funzionale a rendere preventivamente innocui i componenti di quella commissione: “Ai componenti della Commissione paritetica non spettano compensi, indennità, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati”. La conclusione è ovvia: il monitoraggio dei Lep non è cosa che interessa a chi ha pensato scritto e votato il testo di legge sull’autonomia differenziata.
Insomma, andando oltre la lettura dei titoli e prefigurandosi il funzionamento di questa irricevibile legge (chissà se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella la fermerà o la commenterà), anche per la parte relativa alla natura, si può confermare pienamente che ci sono tutte le premesse per il totale asservimento ai bisogni dell’homo oeconomicus. Non c’è nulla che faccia pensare a un corretto approccio ecologico.
La natura è vista tragicamente ed erroneamente per parti distinte (il suolo da una parte, il bosco dall’altra, il campo dall’altra ancora) e già questo è contrario a ogni idea corretta di ecosistema. In più il suo smembramento sul piano geografico-amministrativo, in quanto ogni Regione finirà per definire come (e se) tutelarla, renderà ancor più ‘prestante’ la distruzione, per usare gli stessi loro termini. Francamente non mi risulta che qualcuno sia mai riuscito a dimostrare che una gestione dell’ambiente e della natura per parti differenziate produca una miglior tutela degli ecosistemi e del paesaggio. Né è dato per certo che abbassando di livello amministrativo le tutele, dal centro al livello locale, si ottengano maggiori e più certe garanzie. Non è così e lo abbiamo dimostrato decine di volte attraverso i dati sul consumo di suolo: i piccoli Comuni sono meno efficienti dei grandi; i Comuni più ricchi e grandi continuano a consumare per essere sempre più attrattivi a modo loro (vedi Milano, vedi Bergamo per citare i due sindaci che si sono schierati ai tempi per l’autonomia differenziata).
L’autonomia non è quindi la riforma che aggiusterà qualcosa, ma solo la lama con la quale si squarcerà il Paese. Un’autonomia disegnata da un corpo politico che non ci dà prova di consapevolezza ecologica è, di fatto, la prova che la dissociazione del pensiero politico dall’ecologia diviene un punto di qualità in chi fa politica e non una lacuna davanti alla quale fermarsi. Davvero un disastro davanti al quale però, ancora una volta, non dobbiamo arrenderci, ma anzi alzare la voce e denunciare questa dissoluzione in ogni anfratto della società che frequentiamo. Ognuno può farlo facendo quel che meglio sa fare per dare voce alla natura che non ha voce, disvelando quei particolari diabolici che lo storytelling di forze politiche che nulla hanno a che fare con equità e natura è abilissimo a nascondere. Dobbiamo trovare forme di aggregazione indifferenziata, l’esatto contrario di questa sciagurata autonomia differenziata.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)