Il piano nazionale di ripresa e resilienza del governo Draghi tradisce tristemente le promesse del premier di fare del recovery plan una rivoluzione verde. Al di là delle parole quello che contano sono i numeri ed in questa breve analisi cercherò di spiegare come si è tradita la transizione ecologica e come alcuni progetti sono vero e proprio greenwashing. Le risorse sul trasporto pubblico sono assolutamente insufficienti per far fronte all’emergenza smog e traffico nelle città. Per i treni regionali, utilizzati dai pendolari, si prevede l’acquisto di solo 53 nuovi treni, il piano Conte ne prevedeva 80, mentre allo stato attuale in circolazione abbiamo 456 convogli regionali di cui 256 a diesel. Su una flotta di 42.800 autobus circolanti in Italia il Pnrr ne prevede la sostituzione di 5.500 pari al 12,8% del totale. I percorsi ciclabili urbani passano da 1.000 km della precedente proposta Conte a 570 mentre le vie ciclabili turistiche scendono da 1.626 km a 1.200. Non c’è la rivoluzione verde sulla mobilità elettrica su gomma dove sono previsti solo 750 milioni di euro sulla ricarica, mentre in Germania sono stati investiti 5 miliardi. Sul fronte dell’energia non c’è una strategia sulle rinnovabili: previsti 4,2 GW, potenza sufficiente solo per coprire meno di un anno di crescita per rispettare i target europei. L’efficienza energetica passa dai 7 miliardi di euro del piano Conte a 2 del Pnrr Draghi e su 32 mila edifici scolastici prevede risorse solo per 195 scuole. Eni e Snam invece sono le aziende che trarranno il massimo beneficio dal piano nella finalizzazione delle risorse attraverso l’idrogeno prodotto dal gas, e nella filiera transizione è previsto il sito stoccaggio CO2 a Ravenna, progetto Eni dal costo di 1,35 miliardi di euro, che consentirà a Eni di continuare a estrarre idrocarburi anche dopo il 2050 come scritto nei suoi piani industriali. Eni ha un fatturato di 70 miliardi di euro e non c’è alcuna ragione che sottragga soldi pubblici per progetti da greenwashing. I fondi sull’economia circolare sono concentrati solo sulla gestione dei rifiuti e non su un piano che coinvolga industrie e Pmi. Sulle reti idriche che perdono 100.000 litri a secondo c’è un investimento di soli 900 milioni. La nostra rete perde il 41% di acqua e il governo Draghi vorrebbe intervenire su 25.000 km di rete di distribuzione dell’acqua con 900 milioni di euro: l’acqua persa potrebbe dare da bere ad una popolazione di 40 milioni di persone. Sulla rete fognaria e sulla depurazione delle acque reflue è prevista la cifra barzelletta di 600 milioni di euro: l’Italia ha una condanna da parte della Corte di Giustizia europea perché in alcune zone del paese come Sicilia e Calabria, non depura le acque reflue, condanna che costa al nostro paese 80 mila euro al giorno. Le risorse destinate alla qualità dell’aria attraverso la tutela delle aree verdi e marine sono 780 milioni e non c’è un piano per contrastare la perdita della biodiversità. Il problema delle bonifiche dei siti inquinati è stato completamente dimenticato: sei milioni di persone vivono in siti altamente inquinati come ad esempio Taranto, Priolo, Gela, Milazzo, Brescia, Porto Torres, la Terra dei fuochi, Val d’Agri. Nel piano, non c’è alcun riferimento alle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” indicando la priorità dell’incremento della superficie agricola certificata in agricoltura biologica, lo sviluppo di filiere del “Made in Italy” biologiche e la creazione dei biodistretti. Nel capitolo riforme si parla di semplificazioni nelle procedure di Valutazione impatto ambientale ed edilizie ma di una legge fondamentale per l’ambiente come la legge sul consumo di suolo e dell’obiettivo già deciso da molti paesi europei come quello di vietare l’immatricolazione delle auto a diesel e benzina a decorrere dal 2030-35 non se ne trova traccia. Una domanda a cui il governo deve una risposta: tra i fondi su nuove tecnologie satellitari e filiere industriali ci sono i finanziamenti per spese militari come chiesto dalla Camera dei Deputati?
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