Sfogliando la margherita, alla fine Calenda non ci sta. I commenti oscillano tra l’analisi psicologica del personaggio, e la valutazione della sua convenienza a correre da solo, o magari in tandem con Renzi. Mentre è unanime la valutazione che il divorzio aumenti di molto la probabilità di una vittoria con largo margine della destra. Ora tutti vedono in chiaro quanto pesi la distorsione maggioritaria su un terzo dei seggi determinata dal Rosatellum.
La probabile accoppiata Calenda-Renzi in corsa verso il centro incide sull’offerta politica e sulle prospettive di quel che accadrà dopo le urne. Non sfugge infatti che il nuovo soggetto di centro conterrebbe sia chi da tempo sponsorizza una proposta affine al presidenzialismo caro alla Meloni, come il sindaco d’Italia (Renzi), sia un alfiere dell’autonomia differenziata cara alla Lega (Gelmini). Possiamo pensare che la cosa abbia un peso domani, nel parlamento che verrà.
In breve, la mossa di Calenda aumenta il rischio di uno stravolgimento della Costituzione. Perché questo è il copione che la campagna elettorale sta scrivendo. La sinergia perversa tra presidenzialismo e autonomia differenziata, con il contorno di misure regressive come la flat tax, non lascia spazio a dubbi. Certo, bisognerà vedere i dettagli. Ma la sostanza c’è già.
L’assemblea costituente ci aveva consegnato una Carta la cui architettura fondamentale poggiava su due pilastri: eguaglianza e solidarietà, da perseguire attraverso istituzioni ampiamente rappresentative e democraticamente partecipate. Non c’è modo di argomentare seriamente che un paese frammentato in chiave federale dall’autonomia differenziata sia un terreno favorevole all’eguaglianza e alla solidarietà. O che tale frantumazione sia sanata attraverso il diritto di votare il capo dell’esecutivo, che di per sé non compensa diseguaglianze, diritti negati, divari territoriali.
La mossa di Calenda, con il possibile corollario di un nuovo soggetto di centro, chiarisce che la parola d’ordine della difesa della Costituzione, strumentale a una alleanza tecnica pre-elettorale, non basta. Rischia di rimanere una mozione degli affetti, volta al più a riguadagnare una quota di astensione, probabilmente insufficiente a cambiare le sorti della battaglia. Che fare? In specie, che può fare il fu campo largo di Letta?
Consideriamo che il Nord è saldamente in mano alla destra, con vistose appendici sul tema dell’autonomia differenziata con Bonaccini in Emilia-Romagna e ora anche Giani in Toscana. Consideriamo che rimane contendibile il Mezzogiorno, che – non dimentichiamolo – sarebbe per dimensioni e popolazione in alta classifica tra i 27 della Ue. Consideriamo che sia FdI che M5S faranno un investimento sul Sud. Consideriamo che il Sud sarà ancora, come già nel 2018, terreno decisivo per gli equilibri dati dal voto.
Possono fare un investimento sul Mezzogiorno anche Letta e i suoi compagni di avventura? Posso sbagliare e nel caso mi scuso, ma ascoltando le esternazioni più importanti di Letta non gli ho mai sentito dire parole decise e decisive sul rilancio produttivo del Mezzogiorno, sul recupero del gap in settori essenziali come la sanità, l’istruzione, i trasporti. E nemmeno gli ho sentito prendere posizione contro l’autonomia differenziata in chiave leghista, salvo un appoggio a un documento assai blando del Pd veneto volto a ridurre la bulimia gestionale di Zaia & co.
Sul fronte dell’autonomia differenziata il Pd, e la sinistra con qualche eccezione, sono stati sostanzialmente assenti. Ora che l’autonomia è ufficialmente nel programma elettorale del centrodestra il silenzio non può continuare. Bisogna contrapporsi nettamente. Si può fare in specie con una correzione del Titolo V riformato nel 2001, come intende fare una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare sulla quale si raccoglieranno le firme a partire da settembre.
O anche si può fare rivedendo l’agenda Draghi, indubbiamente da correggere. Ad esempio, superando l’ispirazione di iperliberismo mercatista che con i bandi ha messo in competizione i territori sui fondi Pnrr, o da ultimo ha introdotto nella scuola la figura del docente esperto, giustamente criticata da Francesco Sinopoli, segretario Flc-Cgil, su queste pagine. La battaglia elettorale si può vincere. Non con la mozione degli affetti sulla Costituzione, ma con proposte concrete che mostrino come nella Costituzione troviamo la più forte promessa di diritti eguali, di vita migliore, di speranza di futuro.