Dal voto sono ormai passate due settimane e si stanno moltiplicando gli interventi dell'Unione europea, e in subordine della Confindustria nostrana, per influire sulle politiche economiche e di bilancio che il futuro governo dovrà assumere.
La novità, peraltro relativa (si ricorderà la famosa lettera della Bce del 2011 che ha direttamente condizionato e ispirato le politiche dei governi successivi), è rappresentata dal monito lanciato dal commissario della Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, nel corso dell'audizione al Parlamento europeo, direttamente all'Italia rea di avere un livello elevato di debito pubblico. Naturalmente Moscovici afferma che "La Commissione Ue non vuole entrare nel processo democratico italiano o chiedere riforme che siano impopolari" secondo un classico esempio di excusatio non petita accusatio manifesta.
Come è noto sono in corso da tempo trattative tra il governo italiano e le autorità di Bruxelles per garantire al nostro paese una certa tolleranza o flessibilità che dir si voglia sui nostri conti pubblici. Finora senza successo, visto che Bruxelles pretenderebbe dal nostro paese un'ulteriore correzione per il raggiungimento dell'obbiettivo di medio termine nel quadro dei principi del pareggio di bilancio, che dovrebbe aggirarsi attorno allo 0,5%-0,6% del Pil, il che equivarrebbe a una cifra in termini reali tra gli 8,5 e i 12 miliardi di euro.
Non proprio bruscolini. A questo si aggiunge l'entrata a gamba tesa di Moscovici, cui si adegua immediatamente la Confindustria, per bocca del presidente Vincenzo Boccia che pretende un governo "responsabile". Sullo sfondo stanno le dichiarazioni di Christine Lagarde, direttrice generale del Fondo monetario internazionale che, a sua volta, si attende dall'Italia "una prova di realismo".
Il giornale della Confindustria, Il Sole 24 Ore dedica una intera pagina all'argomento nella sua edizione del 28 marzo, sottolineando come le parole di Moscovici vadano intese come una pressione più o meno diretta nei confronti persino di Sergio Mattarella.
Secondo l'articolista del Sole, Lina Palmerini, il Capo dello stato potrebbe farsi forza di quanto sta scritto nell'attuale articolo 81 della nostra Costituzione. Il testo è stato modificato nel 2012, ai tempi del governo Monti e per iniziativa del Partito Democratico, quando è stato inserito il principio del pareggio di bilancio, pudicamente chiamato "equilibrio".
Una norma assurda, in quanto di colpo si escludeva un'intera teoria economica e una prassi, da Keynes in poi, che prevedeva la possibilità di finanziare interventi pubblici produttivi anche in deficit, in quanto capaci di incrementare il Pil e quindi ridurre il suo rapporto con il debito.
Del resto anche economisti di scuola non propriamente keynesiana hanno dimostrato che l'incremento della spesa pubblica, se bene allocata, senza sprechi e soprattutto in settori innovativi, è più efficace nel contenimento del debito pubblico che non la diminuzione della stessa. Il moltiplicatore keynesiano è molto più performativo che non le politiche di austerità. Basta guardare l'esperienza europea e italiana in particolare durante l'attuale crisi per rendersene conto.
L'attuale testo dell'articolo 81 prevede un certo limitato grado di flessibilità ma solo "al verificarsi di eventi eccezionali". Su questo corre il debole filo della trattativa con Bruxelles. Ma l'intervento di Moscovici e più indirettamente della Lagarde tendono a spezzare quel filo, costringendo il nostro paese nuovamente nel letto di Procuste dell'austerità.
Per tutte queste ragioni è necessario cancellare la modifica costituzionale introdotta nel 2012 e ribadire che le leggi di bilancio sono sottoposte alla soddisfazione dei diritti fondamentali delle persone e non viceversa. E è quanto si propone di fare una proposta di legge di iniziativa popolare lanciata dal Coordinamento per la democrazia costituzionale, sulla quale si stanno raccogliendo le 50mila firme necessarie per presentarla alle nuove camere. Da qui a luglio ogni persona può firmare.